Esce “Su Re” un film in sardo puro

“Su re, la passione” di Giovanni Columbu, questo giovedì esce finalmente nelle sale di tutta Italia (distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti). Una interpretazione personale dei quattro evangelisti con la trasposizione in terra e in lingua sarda della condanna a morte, passione e crocifissione di Cristo. Con le scene che si alternano in ordine sparso ma col medesimo timbro greve, passo lento, colore offuscato di volti e luoghi profondamente sardi.

Son temi già trattati da tanti cineasti internazionali, quelli di Cristo, ma nessuno lo aveva fatto con la stessa tenerezza agrodolce di questo piccolo capolavoro sardo-jewis di Columbu. Può sembrare esagerato questo giudizio perché sono amico fedele di Giovanni sin dalla fine del secolo scorso, ma dopo l’uscita dell’altro suo primo lungometraggio “Arcipelaghi”, ho vissuto in prima persona le sue sofferenze fisiche e mentali (simili a quelle di Gesù) per portare a termine questo nuovo progetto ben più impegnativo e irto di difficoltà economiche e gestionali dell’altro. Alla fine hanno prevalso la sua determinazione, le sue ispirazioni (o apparizioni), i suoi lampi di genio. Come quello, a metà strada, di sostituire l’ attore principale e far fare Gesù a quello che prima doveva essere Giuda. Bravissimo in tal senso è stato Vincenzo Mattu, guardia giurata di Ovodda a interpretare quel ruolo. E’ stata una scelta dolorosa ma vincente. Voleva dire riniziare tutto da capo e Giovanni Columbu lo ha fatto per arrivare al prodotto finale.

Finora, al cinema, un Gesù brutto, grosso, fortissimo non lo si era ancora visto. Eppure quel viso estremamente dolce nella accettazione al tradimento e al martirio, ha caratterizzato ancora più il film rendendolo più umano. In contrapposizione Columbu ha messo per Giuda un giovane ragazzo dall’aspetto dolce e fragile. I grandi sacerdoti, gli accusatori, le donne, hanno i visi scolpiti e le espressioni barbaricine che si integrano perfettamente con la trasposizione effettuata da Columbu.

Questo sarà un film-cult che segnerà il curriculum del nostro cinema. Ho avuto la fortuna di lavorarci come ‘Ispettore di Produzione’, coordinando la vita dietro il set di questi attori/non attori, per lo più semplici allevatori o pastori di Orgosolo, Ovodda e Oliena con qualche Paolo Pillonca (Ponzio Pilato) o Tenores de Bitti che hanno recitato nei vari ruoli come artisti scafati. Come il pianto di Pietrina Menneas (Maria) sulla croce del Cristo sofferente. Aver vissuto per quasi due mesi buona parte delle riprese in questa larga famiglia che impegnava una ottantina di persone tra attori e maestranze è stato un pò come vivere tanti film dentro il film tra S. Giovanni di Sinis, Martis, Oliena, Lollove, Orani e altre località segrete.

Un film tanto atteso perché tra scrittura, riscrittura, programmazione, inizio riprese, cambio di attori e locations e diverse fasi di lavorazione e postproduzione il film ha impegnato un decennio della vita di Giovanni e dei suoi più stretti collaboratori, come gli operatori Antonio Cauterucci e Paolo Negro o la costumista Stefania Grilli. A proposito, bellissimi i costumi, prestati dal teatro lirico. Pur essendo ricco di gioielli interpretativi e scenici il film è però privo di una colonna sonora. La colonna sonora del film, tetro, cupo, sul filo della sofferenza, sono proprio quei lamentii, quelle mezze frasi urlate o bisbigliate, quei volti sardi duri, decisi, tra cieli nuvolosi. La colonna sonora sono quei venti e quei paesaggi lunari e indefiniti del Corrasi. Un film di poche parole in 90 minuti, che si allunga molto e dice tanto nelle espressioni e nei mugugni dei volti e in ciò che fa intuire. Un film in sardo puro. Logudorese, campidanese, sassarese (con sottotitoli in italiano).

In questi dieci anni, il vecchio padre di Giovanni, Michele Columbu, padre del sardismo e di tanti sardi, è morto, lasciando dolcemente questa terra. Eppure risorge e sembra di vederlo sentendo la sua voce narrante, che apre e chiude il film. Un film profondo di assolutamente valore artistico, come un’opera d’arte di legno pregiato, come un quadro d’autore che ti lascia silenzioso e attento osservatore per metabolizzre dopo parecchie ore i suoi contenuti. Ripensando ai quadri, alle scene, agli stalli, alle interpretazioni date sugli scritti dei quattro evangelisti: Luca, Giacomo, Giovanni e Matteo. Un contributo enorme alla nostra base culturale, per la quale Giovanni, su nostru, ha dato il meglio di sè.

Pietro Porcella

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