Le pecore nere di Ottana e le accuse di Migaleddu: “I nostri amministratori peggio della malavita organizzata”

«Le pecore nere di Ottana? Il patron di Ottana Energia, Paolo Clivati, aveva suggerito di concentrare le indagini sui roghi accesi da contadini e allevatori per bruciare le sterpaglie e i giornali hanno accreditato questa pista, dimenticandosi delle ciminiere alte 188 metri che svettano sulla piana». Insomma, cos’è successo? «Che Clivati ha pulito i forni e le ciminiere in cui bruciano gli olii combustibili ed ecco che le pecore sono diventate nere».
L’accusa parte dal presidente Isde – Medici per l’ambiente Sardegna Vincenzo Migaleddu, che ieri ha partecipato al convegno “Antiche tecnologie per una nuova architettura in tempi di decrescita”organizzato dalla consigliera di Sardigna Libera Claudia Zuncheddu. Presenti tra i relatori anche l’architetto di fama internazionale Fabrizio Carola e il giornalista Giulietto Chiesa.

Utilizzo sostenibile dello spazio, questione energetica, impiego responsabile delle materie che l’ambiente mette a disposizione di architetti e ingegneri -ovvero rispetto della cultura del luogo e dei suoi ecosistemi- e, dall’altra parte, lo strapotere dei media nella società dell’informazione, che giocano un ruolo centrale nel mantenimento dello status quo. Questi i temi straordinariamente post-moderni affrontati ieri di fronte a una platea attenta e curiosa.
Il senso dell’incontro è stato perfettamente riassunto da Vincendo Migaleddu, per il quale «occorre avere consapevolezza dello spazio in cui si è inseriti». Insomma, le pecore non sono compatibili con gli olii combustibili, per dirla in soldoni, ma non si tratta solo di questo. La questione è più complessa e riguarda la natura stessa delle decisioni politiche che incidono sul destino dei sardi e dei loro territori.

Ad esempio, a proposito di produzione di energia da fonti rinnovabili,  «perché destinare 1200 km² alla coltura del cardo da bruciare nella centrale a biomassa della Chimica verde voluta dall’Eni a Porto Torres quando, invece, poche decine di km² di fotovoltaico potrebbero produrre una quantità di energia 40 volte superiore rispetto a quella prodotta dal cardo?», domanda Vincenzo Migaleddu. La risposta è semplice, quasi scontata, «perché lo spazio e i beni comuni vengono utilizzati per soddisfare gli interessi di pochi, non quelli delle comunità». E non si bada nemmeno alla salute della popolazione, visto che il fotovoltaico è meno dannoso delle biomasse, che nel bruciare generano diossine e polveri ultrasottili.
«Perché non produrre e accumulare energia pulita tramite le dighe, come fanno ad Iguazù, in Brasile?» Il problema, ricorda il Migaleddu, è a monte: «com’è infatti possibile che la Sardegna produca il doppio dell’energia della ben più industrializzata Liguria e che i sardi consumino più energia dei lombardi?». La morale? Semplice: una simile produzione di energia non è sostenibile e, per di più, non ha senso parlare di rinnovabili se non si abbassano le quote di energia prodotta tramite la combustione dei combustibili fossili.
Ma la realtà è ancora un’altra. Accade, infatti, che la Saras venga autorizzata a ricercare il metano e il greggio nel sottosuolo, a ridosso di uno dei Sin più estesi d’Italia, quello del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, un triangolo di terra maledetto dove l’incidenza delle patologie tumorali è più alta che in Campania. Ciò che porta Vincenzo Migaleddu a dire che «i nostri amministratori sono stati, infatti, capaci di fare peggio della malavita organizzata».
Al presidente dell’Isde fa poi eco Giulietto Chiesa, che dice: «bisogna sviluppare consapevolezza del periodo storico che stiamo attraversando, una fase di transizione verso un nuovo modello di produzione, più sostenibile e meno orientato al profitto. E’ chiaro che il petrolio sta finendo, che siamo nella curva discendente del picco».
E poi c’è Fabrizio Carola, l’architetto  influenzato dalla Bauhaus che ha trascorso metà della propria vita in Africa a costruire cupole di terra, “perché l’utilizzo del legno avrebbe acuito il problema della desertificazione in un territorio già arido, mentre il cemento armato lo si sarebbe dovuto importare e, in ogni caso, era troppo caro”. Così si è espresso Fabrizio Carola, architetto rivoluzionario che avverte: «Se solo riuscissimo a liberarci del clima di diffidenza alimentato dal mito della competitività oggi imperante, risparmieremo il 75% delle risorse e lavoreremo 4 volte in meno. Certo questa oggi può sembrare un’utopia, ma le utopie prima o poi si risolvono».

Piero Loi

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