È stato condannato all’ergastolo Francesco Rocca, il dentista di Gavoi accusato di essere il mandante dell’omicidio della moglie Dina Dore avvenuto nel marzo del 2008.
L’esecutore del delitto fu Pierpaolo Contu, già condannato in primo e secondo grado dal Tribunale dei minori e dalla Corte di Appello di Sassari.
È finita così, alle 10.30, alla vigilia di Pasqua la grande attesa per la sentenza del processo per l’omicidio di Dina Dore – la casalinga di Gavoi (Nuoro) uccisa nel garage della sua casa il 26 marzo di sette anni fa. Ergastolo è la parola pronunciata dal presidente della Corte D’Assise di Nuoro, Antonio Luigi Demuro, nei confronti del marito della vittima, il dentista di Gavoi Francesco Rocca, 45 anni, accusato di essere il mandante dell’omicidio. Alla notizia Rocca, che ha ascoltato la sentenza in aula, non ha lasciato trapelare emozioni, ha tenuto l’aplomb abituale, così come è stato in un anno e mezzo di processo, iniziato il 4 ottobre 2013, dopo la svolta nelle indagini arrivata a cinque anni dal delitto. Commozione e lacrime, invece, per i familiari di Dina Dore che attendevano di sapere chi è il colpevole di un delitto così efferato nei confronti di una mamma di 37 anni uccisa davanti alla figlioletta di 8 mesi. Impietriti i familiari di Rocca, che lo hanno difeso fino in fondo dall’accusa di aver dato mandato all’allora 17enne Pierpaolo Contu di uccidere la moglie. Il giovane è già condannato a 16 anni sia in primo grado che in appello come l’esecutore materiale. Rocca è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e di 150 mila euro per la madre di Dina Dore e 100 mila euro per ognuno dei tre fratelli. Rocca è stato inoltre interdetto dai pubblici uffici e decaduto dalla potestà genitoriale sulla piccola Elisabetta, affidata alla zia materna.
“Visto il clima un po’ se l’aspettava – è stato il commento dell’avvocato Manconi -. A Rocca non è stato consentito di difendersi in quest’aula. Appelleremo questa sentenza”.
In aula erano presenti anche la madre e le due sorelle di Rocca, pietrificate dal dolore dopo le parole del giudice.