Rete ospedaliera, gli otto nodi del centrosinistra: ecco come può finire

Gli ospedali di Alghero e Ozieri, più il San Francesco di Nuoro, il Giovanni Paolo II di Olbia, il Dettori di Tempio, il Nostra Signora della Mercede a Lanusei, il Paolo Merlo di La Maddalena, il Delogu di Ghilarza e il centro di riabilitazione a Guspini. Sono saliti a otto i nodi non sciolti della rete ospedaliera, otto punti su cui la maggioranza di centrosinistra fatica a trovare l’accordo passati due anni dall’approvazione del ddl da parte della Giunta. Tanto che solo a settembre, e non più prima di Ferragosto, la riforma sarà all’esame del Consiglio regionale per la conversione in legge (qui il punto politico).

Rispetto alle otto trattative aperte, in maggioranza si stanno studiando soluzioni di massima. Il problema è il voto segreto che, in Aula, potrebbe far saltare gli accordi vanificando l’obiettivo del risparmio fissato con il ddl a quota 134 milioni di euro. Di questi, otto sono già stati cancellati dalla lista, visto che la coalizione di governo, d’accordo con l’assessore alla Sanitò, Luigi Arru, ha deciso di mantenere la chirurgia negli ospedali di zona disagiata a Bosa, Isili, Muravera, Sorgono e Tempio (leggi qui). Se passassero anche gli otto punti aperti, ci sarebbero ulteriori mancati risparmi per venti milioni di euro, è la stima.

LEGGI: Rete ospedaliera, la strada resta in salita: spunta la guerra del Sulcis

In maggioranza il tentativo è trovare un compromesso, con questi risultati. Per Alghero e Ozieri, che sono attualmente classificati come nodi della rete ospedaliera e chiedono la promozione a Dipartimento Dea di primo livello (ea), la soluzione potrebbe essere quella di un riconoscimento a “struttura rinforzata”. Per esempio verrebbe potenziata la rianimazione. Il costo sarebbe inferiore rispetto ai cinque milioni annui invece necessari per diventare un Dea.

Per il San Francesco di Nuoro la richiesta è un’altra promozione, dal primo livello Dea al secondo, ciò che comporterebbe un non risparmio di otto milioni annui. Anche in questo caso la spesa è considerata eccessiva. Come ipotesi di mediazione, si lavora sulla possibile apertura di una Breast unit, ovvero un centro di senologia multidisciplinare che è considerato un polo di eccellenza (in Italia ce ne sono solo nove).

Una promozione la chiedono pure in Ogliastra per il Nostra Signora della Mercede a Lanusei, ugualmente classificato come nodo della rete ospedaliera. L’aspirazione è diventare un Dea di primo livello, al costo di 1,6 milioni annui. Pure in questo caso si sta studiando una soluzione di compromesso simile a quella di Alghero e Ozieri, con il riconoscimento a ‘struttura rinforzata’ per quel che riguarda le emergenze e urgenze. Le quali sarebbero gestite dalla futura Areus, l’azienda sanitaria del 118.

A Tempio la situazione è analoga a quella di Lanusei, Alghero e Ozieri: l’ospedale Dettori è classificato come nodo della rete ospedaliera. Dovrebbe quindi mantenere la chirurgia e l’ortopedia, ma non l’ostetricia, come invece chiedono nel territorio. Se tutte le richieste venissero assecondate, i mancati risparmi quantificati sarebbero di 4,2 milioni annui.

A Olbia il problema riguarda la chirurgia pediatrica: nella provincia, il polo di riferimento su questa specialità medica è l’ospedale di Sassari. Ma l’apertura del reparto è prevista pure al Mater, la struttura del Qatar che sarà convenzionata con la sanità pubblica. A Sassari non vogliono perdere la competenza, in Gallura puntano ad acquisirla. Questo è l’unico caso in cui non ci sarebbero costi aggiuntivi né mancati risparmi perché sarebbe un ‘semplice’ spostamento di un servizio.

A La Maddalena sono da mesi sul piedi di guerra per mantenere il punto nascite al Paolo Merlo: la sua chiusura è dettata dal fatto che i protocolli sanitari nazionali prevedono un minimo di cinquecento parti all’anno perché il reparto possa considerasi un reparto sicuro. Sull’isola se ne contano sessantasette. Anche su questo punto, con molta probabilità, si arriverà al voto segreto. Il costo annuo per tenere aperto il punto nascite è di 1,5 milioni.

Al Delogu di Ghilarza lottano per non perdere la medicina generale e la chirurgia, al costo di 1,3 milioni a carico dei contribuenti sardi. La soluzione intermedia potrebbe essere quella di conservare la prima specialità medica e fare sulla seconda solo interventi programmati. Anche perché Ghilarza dista quaranta chilometri dal polo sanitario di riferimento, ovvero il San Martino di Oristano classificato come Dea di primo livello.

Infine il centro di riabilitazione a Guspini, per il quale il territorio chiede la riapertura: la spesa in termini di mancati risparmi non è stata ancora quantificata. Ma per contenere i costi, un’ipotesi di accordo ruota intorno alla possibilità di riaprire sì la struttura, ma riducendo i posti letti per acuti nell’ospedale di San Gavino. La riabilitazione rientra invece nelle post acuzie, cioè le lunghe degenze. Il Medio Campidano, proprio stando ai numeri dell’assessorato regionale alla Sanità, è una di quelle province che ha i posti letto sotto dimensionati rispetto al numero di abitanti: 1,75 ogni mille abitanti contro il 3,55 di media regionale (è il dato più basso di tutta l’Isola). nel dibattito interno al centrosinistra si sta tenendo conto di questo aspetto.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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