“Il centrosinistra si riappropri della Zona franca”

Tore Cherchi: “La Zona Franca è un obiettivo possibile. E nell’Isola è un’elaborazione della sinistra. Non lasciamola alla propaganda di Cappellacci”

Totem Zona Franca, ma anche terreno di scontro e di conflitti: il dibattito sulla defiscalizzazione continua, serrato, tra fughe in avanti e differenze sostanziali, segnando la lunga corsa verso le elezioni Regionali. L’ultimo contributo alla discussione lo firma Tore Cherchi. E lo fa da sindaco, da presidente della Provincia e da parlamentare. Perché Cherchi, deputato col Pci e senatore in quota Pds (così i suoi primi dieci anni da politico, poi la bandiera Ds e quella Pd), la detassazione l’ha masticata a ogni livello istituzionale.

«La Zona franca – premette – è uno strumento complesso e controverso, ma in Sardegna si continua a sbagliare, ripiegati come siamo tra propaganda e superficiale liquidazione del tema. Invece bisognerebbe individuare un percorso e un modello utili per l’Isola». Non fosse altro che «tagliare le imposte su impresa e lavoro – sottolinea – non è un’utopia, ma vanno decisi il come e gli obiettivi».

Onorevole, per sgombrare il campo dai dubbi: lei è iscritto al partito della Zona franca?

«Certo che sì, le Zone franche sono nello Statuto sardo. Ma io non appartengo al partito che le sta trasformando in un’àncora elettorale».

Da mesi il dibattito è monocorde: Zona Franca integrale o Punti franchi?

«Questo dibattito è vecchio di settant’anni, risale alla nascita dello Statuto e fu allora risolto con più Zone franche, impropriamente chiamate Punti. Poi non se ne fece nulla. In Irlanda, la Shannon Free Zone, un caso di indubbio successo, prende forma nel 1959, con primo modulo di appena 30.000 metri quadrati. Esaurito subito lo spazio, si allarga il perimetro e, a distanza di oltre cinquant’anni, Shannon continua ad attrarre investimenti. In Irlanda ha governato l’attenzione al risultato concreto, cosa che manca a chi guida la nostra Regione. Rivendicare obiettivi massimi è, intendiamoci, legittimo. Ma chi amministra deve utilizzare, con un progetto solido, innanzitutto le sei Zone franche già disponibili, istituite col decreto legislativo 75 del 1998».

Lei era parlamentare quando venne siglata l’intesa Stato-Regione.

«In quel decreto ci sono quattro firme in calce: Prodi, Bassanini, Ciampi e Visco. Il capo della Giunta sarda era Palomba. Ricordo che il testo iniziale si limitava a Cagliari, poi venne esteso ai sei porti industriali. Immediatamente dopo, col governo D’Alema, si pose il tema della fiscalità di vantaggio al Consiglio di Lisbona sulla Strategia della crescita europea; arrivò pure il Dpcm sulla perimetrazione della Zona franca di Cagliari. Se le Zone franche non sono partite, la responsabilità è solo regionale».

Dopo Palomba, alla presidenza della Giunta si sono alternati Pili, Selis, Floris, ancora Pili e Masala. Colpa loro?

«Assolutamente. Quelle Giunte accantonarono utili strumenti, ottenuti con il centrosinistra».

E sotto il governo Soru?

«Neanche loro hanno dato seguito al percorso avviato».

Da dove cominciare per riannodare i fili?”

«Dalla fiscalità di vantaggio per imprese e lavoro, in tutta la Sardegna, e dal decreto legislativo del ’98. L’obiettivo è definire i contenuti e la strategia del progetto. Al riguardo, condivido totalmente il richiamo del Professor Aldo Berlinguer. La Zona franca è uno strumento: a Cagliari può essere utile per la logistica internazionale dei trasporti e per l’attrazione di nuovi servizi; in altre aree deindustrializzate può essere funzionale all’insediamento di nuove attività. Attenzione, però: come avvertono gli studiosi delle performance nelle migliaia di Zone franche proliferate nel mondo, sono decisivi il contesto e la qualità dei servizi offerti; la leva fiscale è una componente importante ma non esaustiva. Ma intanto si esca dalle secche, ci s’incammini in una direzione precisa».

Per tagliare le imposte, servono i soldi.

«È un’altra parziale verità. La Zona franca ha un costo in termini di fisco e di infrastrutture. Anche la fiscalità di vantaggio ha un costo. A fronte, ci deve essere crescita economica tale dare un saldo positivo. In molti casi il bilancio è stato positivo, vedi in Irlanda e in tante altre esperienze. La Sardegna ha entrate proprie: deve solo decidere quanto delle sue risorse, ricavate preferibilmente da riduzione di spese improduttive, destinare ai progetti di sviluppo sostenuti con fisco e regole favorevoli. Qui sta la responsabilità dell’autonomia».

A proposito: meglio la Zona franca sulla produzione o quella al consumo?

«Meglio sulla produzione e sul lavoro, senza dubbio alcuno. Un discorso specifico merita il turismo. Ridurre o azzerare le imposte sul consumo, potrebbe tradursi in rivendita di merci prodotte altrove, e ciò si tradurrebbe giusto in qualche stipendio in più. Altra cosa è puntare sui cicli produttivi di beni e servizi innovativi. Questo significa innescare un circolo virtuoso, soprattutto in termini di occupazione. La Zona franca solo così può diventare filiera, anche del lavoro».

Nel nuovo Codice doganale dell’Unione Europea la Sardegna non c’è: si può rimediare?

«Io credo che la Sardegna, innanzitutto, non debba rinunciare a rivendicare il diritto alla fiscalità di vantaggio».

L’Unione Europea classifica come aiuto di Stato la fiscalità di vantaggio differenziata su base regionale.

«In Europa esiste una situazione di asimmetria fiscale. Nel mercato europeo, formato da 500 milioni di persone, non ci sono uguali condizioni fiscali per le imprese. In Irlanda tale tassazione è al 12,50 per cento, e regimi fiscali favorevoli sin registrano anche nei Paesi dell’Est, entrati di recente nell’Ue. La Sardegna, così come altre Regioni europee con problemi di crescita, competono ad armi impari. Questa situazione è ingiusta e anacronistica. La giurisprudenza della Corte Europea ha aperto a decisioni fiscali su base regionale; la legge sul federalismo fiscale ha creato nuovi utili spazi. Ma non basta. L’Ue deve riconoscere che quanto è possibile in Irlanda, sia consentito pure in Sardegna. Specifico: per l’intera Isola, qui sono decisamente a favore dell’integralità. Ci sono discrasie che vanno corrette, diversamente il flusso degli investimenti continuerà a dirigersi dove le condizioni sono più vantaggiose».

Per attrarre nuovi capitali è sufficiente detassare?

«Il fisco è essenziale ma non è tutto. Il 94 per cento dei potenziali investitori stranieri giudica inaffidabile la pubblica amministrazione italiana. Il Trentino ha usato la specialità per darsi un’amministrazione efficiente che aiuta l’impresa».

Il presidente Cappellacci copierà la rotta da lei indicata?

«Il tempo di questa Giunta è scaduto. Toccherà a un nuovo governo regionale. Le Zone Franche sono storicamente una conquista della sinistra: mi auguro che un futuro governo di centrosinistra le riempia di concreto contenuto. Ora siamo alla propaganda pre-elettorale. Trovo più seria una posizione coerentemente indipendentista rispetto a quella di chi chiede tutto ponendo il conto a carico degli altri».

Nel mondo ci sono esempi felici di Zona franca?

«La banca Mondiale ne censisce oltre 3.500, sparse in 130 Paesi, Stati Uniti, compresi. Erano meno di 100 nel 1975. Il boom è contestuale all’apertura dei mercati e alla riorganizzazione internazionale delle reti di produzione di beni e servizi. La previsione è per l’ulteriore espansione. Attenzione ai casi di successo e di fallimento. L’Irlanda, tante volte citata, aveva il chiaro obiettivo di crescere con le esportazioni generate da imprese locali e straniere. Ha modellato la sua politica, compresa quella estera, in funzione di questo obiettivo. La semplificazione è l’anticamera dei fallimenti. Bisogna anche fare esperimenti graduali e allungare la vista».

A Carbonia lei è stato sindaco, nell’Iglesiente ha guidato la Provincia sino a giugno: chi ha pagato la defiscalizzazione per le piccole imprese prevista nel Piano del Sulcis?

«I soldi sono stati tolti dalla stessa torta. Cioè, una volta definito l’ammontare complessivo per il rilancio del territorio, una quota è stata dirottata sulla Zona franca urbana. Non ci si è inventati nulla, né sono stati utilizzati particolari artifici fiscali. Per questo dico che la stessa procedura va innescata nei sei Porti franchi della Sardegna: la politica deve decidere quante risorse destinare alla defiscalizzazione».

Per tornare sulla Provincia commissariata: è arrabbiato?
«È stata una vergogna. Passato un anno e mezzo dal referendum di maggio 2012, il centrodestra non è riuscito a elaborare uno straccio di riforma. La maggioranza in Regione ha fatto sfregio del voto popolare per mettere in pratica commissariamenti politicamente abusivi. Hanno demolito senza costruire un’alternativa».

Alessandra Carta

LEGGI: LA REAZIONE DEL GOVERNATORE CAPPELLACCI SULLA SUA PAGINA FACEBOOK

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