Zerocalcare apre gli incontri di Gavoi: “C’è tantissima gente, è potentissimo”

Settecentocinquantamila libri venduti, centinaia di persone che affollano ogni suo incontro o presentazione,  250mila like sulla sua pagina facebook, eppure Michele Rech in arte Zerocalcare è  ancora quasi incredulo del suo successo. L’artista ha aperto questa mattina il festival letterario L’Isola delle storie di Gavoi, appuntamento oggi alla sua quindicesima edizione organizzato dall’associazione omonima guidata da Marcello Fois.

Rech, 35 anni, nato ad Arezzo ma vissuto da sempre a Rebibbia, nella periferia di Roma, ha iniziato da adolescente a scarabocchiare personaggi e disegnare manifesti e grafiche di concerti punk; dopo il passaggio dei suoi disegni su un blog ha iniziato a pubblicare con Bao Publishing. Oggi i suoi libri sono letti e apprezzati da giovani e meno giovani di tutta Italia, un pubblico trasversale che ride, si commuove, ride ancora e riflette sulle storie incredibili eppure cosi reali narrate da Rech: un mondo raccontato in prima persona fatto di amicizie, impegno sociale e politico, tanto tempo sui videogiochi e sulla rete, cibo-spazzatura e un’infinità di dubbi, paure e incertezze.

Abbiamo incontrato Michele Rech dietro le quinte del festival subito dopo la chiacchierata  seguitissimo condotto dallo scrittore Fabio Geda. In un’ora hanno preso vita le storie dei suoi libri: dal primo “La profezia dell’armadillo” del 2011 passando per “Ogni maledetto lunedì”, “Dodici”, “Dimentica il mio nome”, “Kobane calling” fino ai lavori più recenti. L’occasione giusta per un bilancio a 7 anni dall’uscita del suo primo libro e a poche settimane dall’arrivo in libreria di “Macerie prime, sei mesi dopo”.

I tuoi personaggi non sono certo eroi positivi, tutt’altro: sono tormentati da ansie e dubbi, hanno difficoltà  a guardare il futuro e accettare i cambiamenti. Eppure sono amatissimi. Come te lo spieghi?

Intanto un sacco di gente non ha voglia di sentire prediche o insegnamenti sulla vita, quindi per me quella di porre dubbi è una questione di onestà. Il mondo poi è pieno di gente impicciata tra mille problemi: su “Macerie”, il mio ultimo libro, ho avuto tantissimi riscontri da lettori che si sono riconosciuti. Ecco, è un libro che parla di persone impicciate che piace ad altre persone impicciate.

Hai dichiarato in più occasioni che non vai a votare. Ma considerata la situazione che stiamo vivendo con il ritorno di fascismo e razzismo, che suggerimenti daresti ai più  giovani per cercare di cambiare le cose nel quotidiano?

Se lo sapessi lo farei in prima persona… La mia generazione, la realtà in cui ho vissuto e vivo tuttora ha avuto i centri sociali che sono stati una grossa fucina di attività e cambiamenti sul territorio. I ragazzini di oggi dovrebbero trovare delle forme loro che gli appartengono di più. Io presento realtà mie in cui mi riconosco, far conoscere le mie scelte. Ho le risposte che valgono per me, non una verità per tutto. Quando mi dicono che potrei influenzare le persone con i miei racconti non mi vedo in questo ruolo: per me la figura dell’intellettuale che può dare chiavi di lettura della realtà ha un valore altissimo, e sono alla continua ricerca di qualcuno che possa darmi suggerimenti, mostrare soluzioni. L’unico argomento su cui sento di esser davvero preparato è il nazismo. Penso però che la politica vera la facciano i gruppi e i collettivi, non i singoli. Certo, io ho la grande scorciatoia della visibilità e cerco di sfruttarla per fare opposizione, ma sempre come espressione di una riflessione collettiva.

Hai parlato di Genova, il G8, la morte di Carlo Giuliani, la scuola Diaz: una tragedia che ha unito la generazione dei trenta e quarentenni che ritorna in ogni tuo libro. 

Si, verissimo. Ma ho riscontrato anche l’opposto, persone che hanno subito la narrazione contraria, quella dei sindacati di polizia e di certa politica che dice cose aberranti, ad esempio Catlo Giuliani per queste persone non è una vittima ma un assassino. Genova non è mai finita, è una ferita ancora aperta e ci sarà sempre bisogno di raccontarla. Per me che in quei giorni ero un ragazzo di 18 anni Genova è stato uno spartiacque e me lo porterosempre appresso: Per la prima volta mi sono trovato davanti alla paura che un apparato dello Stato mi volesse ammazzare. È uno dei pochi temi su cui non sono capace di mediare o tacere. E ci sarà sempre bisogno di parlarne:  qualche tempo fa ho incontrato gli studenti alla scuola Diaz, dove decine di persone furono massacrate dalle forze dell’ordine. Credevo di trovare qualcosa, una targa, un riferimento, e invece lì dentro non esiste nessuna a di quanto accaduto. Uno dei miei sogni è scrivere un racconto collettivo sui fatti del G8.

Il tuo incontro ha aperto il festival di Gavoi, tra le realtà letterarie più  importanti della Sardegna. Che impressione hai avuto?

Trovo incredibile è che oggi, un venerdì mattina a Gavoi, un posto anche difficile da raggiungere, ci sia così tanta gente: una roba per me inspiegabile, anzo se qualcuno me la spiega sono super contento. È potentissimo.

Francesca Mulas

 

 

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