Nuova vita per il museo Etnografico di Nuoro, collezione tra le più preziose del Mediterraneo

“Il pastore appartiene alla dinamica della vita, il contadino alla statica. La differenza tra il pastore e il contadino è che quello conduce una casa che cammina, questo una casa che sta ferma”, scriveva Salvatore Satta nel libro Il giorno del giudizio per spiegare i due mestieri trainanti dell’economia agricola e pastorale del centro Sardegna. La frase del letterato nuorese si fa largo tra le teche che ospitano gli utensili del lavoro nei campi, quelli della lavorazione del grano e del pane nel museo Etnografico di Nuoro ristrutturato e ampliato, fino a diventare una delle collezioni etnografiche più preziose del Mediterraneo.

Teche che espongono la storia della Sardegna, con le sue scene di vita quotidiana, nella festa, nelle tradizioni e nel lavoro: quello della campagna con il pastore e il suo gregge, il contadino con il giogo a buoi e quello delle case sarde dove al centro c’è la donna. Un museo che restituisce intatta la potenza delle grandi tradizioni sarde: le processioni, la sacralità e la festa, quel sentimento misto tra devozione e allegria che si vive nei paesi dell’isola quando arrivano i festeggiamenti del patrono. Al primo piano del nuovo museo, inaugurato ieri, un omaggio alla processione maestosa del Redentore rappresentata da una teca in cui sfilano i migliori costumi dell’isola a grandezza naturale. In un’altra ala i rituali legati alle feste: dai gioielli, agli amuleti, alla vita nelle cumbissias e dentro le chiese a pregare. Al piano terra c’è l’arte dell’artigianato sardo: i tappetti, i ricami dei costumi, l’orbace e la seta; le casse panche i telai ma anche la cestineria.

Il museo è composto da 11 sale che contengono l’esposizione permanente – curate dal progettista Mimmia Fresu sotto la direzione artistica di Paolo Piquereddu – e otto sale di esposizione temporanea, ideate dall’ex direttrice Cristiana Collu: tre dedicate agli anni della malaria in Sardegna con la collezione fotografica di Wolfgang Suschitzk, altre tre all’arte della ceramica, e due sale adibite alla ristorazione e al workshop.

“È con orgoglio che presentiamo oggi il nuovo Museo del Costume, una grande esposizione contemporanea che racconta secoli di storia sarda e unisce tradizione e modernità – ha affermato il presidente dell’Isre Bruno Murgia -. Questo è il più grande istituto che si occupa di cultura sarda nell’Isola, ma anche un museo che guarda all’Europa, ai grandi mutamenti sociali, politici, economici e culturali”.

La storia del museo etnografico è antichissima, risale agli inizi del secolo, ma la prima pietra è stata posata solo nel 1957. Fu la grande Mostra etnografica italiana nel 1911 voluta dal Governo a segnare l’ingresso dell’arte popolare sarda nel patrimonio culturale italiano. Nel giugno del 1956 il Congresso Italiano dell’ Etnografia chiede ai governanti dell’Isola “che si proceda alla creazione con sede a Nuoro del Museo delle tradizioni popolari sarde”. Il 27 gennaio del 1957 per volere della Regione sarda si posa nel capoluogo barbaricino la prima pietra del Museo. La storia dell’esposizione, in quei lunghi anni di gestazione, trova nella produzione artistica e letteraria uno strumento di veicolazione: la madre dell’ucciso di Ciusa e la Processione in Barbagia e la Grande festa campestre di Giuseppe Biasi, ne sono un esempio; in un altro versante, quello letterario c’è la produzione di Grazia Deledda e Salvatore Satta.

“Nuoro può ambire a ragione all’antico ruolo di Atene sarda nell’isola, per il ricco patrimonio di cultura arte e tradizione che possiede– ha rimarcato il sindaco Andrea Soddu -. Sono orgoglioso di ospitare nella mia città un museo che è diventato storia e identità dell’Isola, attraverso un concetto dinamico che eleva la storia della Sardegna a storia universale – ha aggiunto il primo cittadino -. Qui ci sono le nostre radici da divulgare in tutto il mondo. Il nuovo museo diventerà attrazione per Nuoro e per la Sardegna intera e sarà elemento di sviluppo culturale e economico”.

“Lavoriamo in rete e diamo alla parola museo una concretezza che spesso stenta a essere realizzata – ha concluso l’assessore regionale Claudia Firino -. Non è più tempo di andare avanti con piccoli musei e progetti isolati e per singoli territori che non comunicano tra loro. La cultura e le reti tra musei possono essere quel ponte felice per sentirci tutti parte realmente della stessa terra e della stessa battaglia”.

Maria Giovanna Fossati

 

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