L’INTERVISTA. ‘Era d’estate’, il nuovo film di Fiorella Infascelli: “Vi racconto Falcone e Borsellino all’Asinara”

Arrivarono al buio in una notte d’estate, nascosti tra le ombre in un mare scuro cobalto. Come se fossero dei criminali, quando loro erano l’esatto contrario. Finirono in un’isola di una bellezza dolce e crudele che portava un nome come nessun altra: Asenara, Sinnara, Sinuaria, Asinara. Per molti era solo l’isola del demonio, ultimo luogo a due passi dall’inferno dove scontare una pena lunga una vita; per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino diventò una parentesi lunga appena una stagione, soggiorno obbligato per loro e i propri cari per sfuggire ad un possibile attentato da parte della Mafia. A quei giorni Fiorella Infascelli ha dedicato un’opera intimista che si intitola “Era d’estate” prodotta da Rai Cinema, la Fandango con il sostegno di Sardegna Film Commission.

IL TRAILER

Il film ha le sembianze di un dramma da camera crepuscolare, ma catapultato sul mare, dove Falcone e Borsellino si trovano a fare i conti con se stessi forse per la prima volta. In questi giorni nelle sale anche in Sardegna, ha per protagonisti Beppe Fiorello e Massimo Popolizio nel ruolo dei due magistrati, Valeria Solarino, Claudia Potenza, Giovanni Anzaldo e Lidia Vitale. Per la regista è un ritorno all’Asinara dopo “Pugni chiusi”, film dedicato alla lotta degli operai cassintegrati della Vinyls che nel 2011 aveva vinto il premio come miglior documentario nella sezione Controcampo italiano alla Mostra del cinema di Venezia. Sardinia Post ha fatto una lunga chiacchierata con l’autrice che ha raccontato molti particolari sull’intesa lavorazione del progetto – bella e malinconica la definisce – avvenuta quasi un anno fa.

Con “Era d’estate” torna all’Asinara dopo “Pugni chiusi”, stessa isola, ma due storie ben diverse. Cosa l’ha spinta ad interessarsi a questo frammento di vita dei giudici Falcone e Borsellino?

Stavo girando il documentario, un pomeriggio uno degli operai mi ha portato vedere da fuori la foresteria dove Falcone e Borsellino erano stati nell’estate dell’85. Non lo sapevo, mi colpì. Così la sera quando finivo di girare andavo su Internet per cercare di sapere di più. Così che ho scoperto gli articoli, e soprattutto le lettere di Antonino Caponnetto (il magistrato che ha guidato il pool antimafia dopo la morte Rocco Chinnici chiamando a lavorare con sé Falcone e Borsellino ndr.). In quelle missive si chiedeva come mai su tutti i libri, su tutti gli articoli si raccontava che Falcone e Borsellino erano stati all’Asinara per scrivere l’ordinanza del maxi processo contro Cosa Nostra, quando la vera ragione di quel trasferimento era dovuta alle minacce nei confronti dei due giudici e delle loro famiglie da parte della Mafia. Erano lì per sfuggire al pericolo, non per lavorare, e proprio il non poter lavorare li agitava e li preoccupava. Queste parole di Caponnetto perciò mi hanno dato l’idea per raccontare loro due sull’isola, senza le carte a soli due mesi dall’inizio delle udienze. Cosa facevano? Come vivevano? Cosa pensavano? Come era il rapporto con le loro mogli, con i figli? Avevano tutto il tempo di osservare e di osservarsi, di guardare. Mi affascinava parlare di loro due senza fretta, cercare di conoscerli, entrare nella loro intimità e prendere solo quel momento, quello strano interludio di appena cinque settimane. Niente altro. Niente Palermo, niente morti, niente immagini di bombe, solo loro due con le loro famiglie costretti a vivere in una casa adagiata sull’acqua. Avvicinarmi poco alla volta, scoprire i loro conflitti, i momenti di allegria, le dolcezze, i lati nascosti. Tutto questo mi ha spinto a fare “Era d’estate”.

Il film sceglie una dimensione molto intima, per certi versi crepuscolare nonostante sia ambientato in un luogo luminoso in cui l’acqua e in generale il rapporto tra il loro soggiorno “coatto” nelle stanze della foresterie e la vastità dell’isola fa da contrasto molto marcato. Sembra quasi un “dramma da camera” in cui i due giudici siciliani sembrano imprigionati.

Sì è proprio su questo contrasto che ho lavorato con le immagini. La prima cosa che ho chiesto al direttore della fotografia è stata che volevo vedere il mare dall’interno delle stanze; perciò ha dovuto bilanciare la luce in ogni inquadratura. Il mare doveva essere presente sempre. Ed è vero: è un dramma da camera, solo catapultato in mezzo all’acqua. Un giorno Manfredi Borsellino, quando ormai eravamo diventati amici mi ha detto: “Sai sono quasi sicuro che se avessero portato tutti noi in una prigione di Asti, tu non lo avresti fatto questo film”.Credo abbia pienamente ragione. C’erano quelle linee dell’orizzonte che si mescolavano con le linee del mare, quella geometria delle ringhiere, i fichi d’india che mi ricordavano Hockney, il sud, i colori, quel chiarore. Tutto questo mi seduceva e pensavo che sarebbe stato un set speciale, bello e malinconico.

Colpisce il modo in cui sono delineati i rapporti tra Falcone, Borsellino e le rispettive famiglie. Un aspetto decisamente toccato molto di rado nei vari film e fiction su di loro. Si è affidata a testimonianze dirette che sono state poi riprese alla lettera durante la stesura della sceneggiatura, oppure c’è stata una rielaborazione?

Il lavoro più difficile è stato costruire l’arco drammaturgico del film. Scrivere la drammaturgia interna. Ho scritto la sceneggiatura con Antonio Leotti, e abbiamo fatto molte versioni, ma non ero mai pienamente contenta. Mi sono fermata all’ultima versione solo perché dovevo cominciare a girare. Durante la fase di elaborazione ho incontrato, intervistato e ascoltato tante persone. Sono stata pomeriggi interi a parlare con Agnese Borsellino, e il figlio Manfredi; ho parlato con i loro colleghi, con Giammaria De Riu, la guardia carceraria che aveva vissuto con loro, ho conosciuto il dottor Massidda, allora direttore del carcere; poi quando ho sentito di conoscere abbastanza – anche se non è mai abbastanza – ho cominciato a scrivere. Non potevo sapere cosa si dicevano sull’isola, potevo immaginarlo, potevo cercare di ricostruire la loro ironia le loro battute, avevo capito lo stile delle freddure di Falcone, il carattere di Borsellino e mi sentivo di conoscerli un po’ ed è stato emozionante iniziare a costruire i dialoghi.

Altro aspetto interessante è il come emerga l’ironia e l’umorismo dei due giudici, anche di fronte ad argomenti serissimi come la morte, peraltro erano ben consci di avere un destino segnato. Abituati a vederli e a idealizzarli in un certo modo è stato sorprendente vederli così. Anche lei è rimasta sorpresa da questo loro lato poco noto ai più?

Sì, mi ha sorpreso molto, non lo immaginavo. E proprio questo annullarli come eroi, e rifuggire dal melò è stata la direzione, e ho cercato di mantenere questo orientamento per tutto il film.
L’Asinara emerge come protagonista ulteriore della vicenda, non è un mero sfondo ma dà l’impressione di “dialogare” con tutti i protagonisti della storia. Per quanto sia bellissima, la tratteggia con una certa inquietudine, come se volesse sfuggire ad un qualcosa. Una cosa che avevo in parte notato anche in “Pugni chiusi”…

Probabilmente perché la morte, nonostante tutto, aleggia nel film. C’è, è presente, e quell’isola ha qualcosa di molto doloroso, di commovente, forse è questo. Falcone e Borsellino stanno fuggendo ma allo stesso tempo l’Asinara ti prende, ti acchiappa, ti allontana da tutto e ti porta indietro. Io credo molto indietro. È come se le difese crollassero. Ecco perché penso che l’Asinara sia completamente diversa da tutto il resto della Sardegna

“Era d’estate” è ora nelle sale in occasione dell’anniversario della strage di Capaci. Che effetto le fa una scelta di questo genere? Avrà dopo una distribuzione più ampia oltre le due date?

Il film è uscito prima per due giorni come evento, in tutta Italia con 240 copie ed è andato bene, ora 01 ha deciso di tenerlo nei cinema delle grandi città. È stata una bella sorpresa. Cagliari ha dato una risposta bellissima, il cinema Odissea, è stato sempre sold out, una grande gioia. Passerà poi in prima serata sulla Rai, tra un po’ di mesi.

Francesco Bellu

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