Giovedì all’Exme’ di Nuoro ‘Grazia Deledda e il Corriere’ di Piroddi e ‘Cosima’ di Manca

Una giornata, due inediti. La giornata è quella, deleddiana e nuorese, del 17 novembre; gli inediti sono i volumi, entrambi appena usciti per la sarda Edes editrice nella collana ‘Filologia della letteratura degli Italiani’ diretta da Dino Manca, docente di Filologia dell’Università di Sassari, dal titolo ‘Grazia Deledda e il Corriere della Sera. Elzeviri e lettere a Luigi Albertini e ad altri protagonisti della Terza Pagina’, di Giambernardo Piroddi; e Cosima, prima edizione critica del romanzo postumo della scrittrice nuorese, curata dallo stesso Manca – anch’egli nuorese – e frutto di un lungo lavoro condotto a partire dai manoscritti del romanzo conservati all’Isre di Nuoro.

Si tratta di due studi innovativi su altrettanti volti, non ancora indagati, della scrittrice premio Nobel in occasione dell’anno deleddiano tutt’ora in corso: Deledda pubblicista ed elzevirista nei giornali e Deledda autrice del romanzo che vide la luce solo dopo la sua morte, in un lavoro che si caratterizza non solo per lo studio, la descrizione del manoscritto e la ricostituzione del testo nella sua forma originaria, ma – come in nessuna edizione precedente fino a oggi è accaduto – anche per l’esplicitazione del percorso filologico che ha portato il curatore Manca a tale restituzione.

I volumi saranno presentati giovedì 17, a partire dalle 17, nella sala dell’Exme’ (Ex Mercato civico) del capoluogo barbaricino, in piazza Mameli, in un evento culturale inserito all’interno delle manifestazioni previste per l’anno deleddiano e patrocinato – come del resto i volumi – dal Comune di Nuoro. La filologia della letteratura degli italiani. Le prime edizioni critiche delle opere di Grazia Deledda è il titolo dell’appuntamento cui porterà il saluto dell’amministrazione comunale l’assessore alla cultura del Comune di Nuoro Sebastian Cocco; a seguire, con il coordinamento di Marina Moncelsi, si avvicenderanno le relazioni di Bastiana Madau (Edizioni critiche dell’opera deleddiana), Ugo Collu (L’edizione critica del romanzo Cosima), Giambernardo Piroddi (L’inedita Deledda elzevirista e il rapporto col “Corriere della sera”) e a chiudere Dino Manca (Tra le carte della Deledda: verso una nuova filologia dei sardi e degli italiani).

Il volume di Piroddi indaga e contestualizza il lungo  apprendistato giornalistico dell’autrice sarda con particolare riguardo al quotidiano milanese. Sono documentati, oltre a svariate vicende biografiche, i retroscena relativi a scelte tematiche e stilistiche  inerenti la produzione narrativa destinata alla pubblicazione nel giornale, con significative notizie circa l’adattamento degli scritti deleddiani – su richiesta e suggerimento di direttori e caporedattori – a logiche e necessità della pagina culturale del maggior quotidiano italiano. Il carteggio, conservato presso l’Archivio Storico della testata, annovera tra i destinatari personalità di spicco del panorama culturale dell’entre-deux-guerres (tra cui Albertini, Ojetti, Maffii, Borelli). La corrispondenza col «Corriere» rivela inoltre un universo epistolare indagabile sotto molteplici aspetti – biografico, storico, filologico, estetico, sociale – e induce a porre la lente sulla complementarità tra letteratura e paraletteratura in Deledda.

L’autrice veicola con i suoi scritti per i giornali un messaggio preciso: la raggiunta consapevolezza della radicale modificazione del proprio status di autrice di fronte alla moltiplicazione ed ibridazione dei linguaggi della comunicazione, nell’alveo d’una più generale eterogeneità delle arti in senso lato che andrà a costituire tratto distintivo dell’epoca postmoderna. E fu dopo la sua morte, avvenuta a Roma il 15 agosto 1936, che il primogenito Sardus trovò in un cassetto della sua casa un autografo di 277 carte, senza titolo e senza la parola «fine». Si trattava di un elaborato inedito contenente memorie romanzate della madre sul periodo nuorese, una sorta di schermata autobiografia tradotta in finzione letteraria, il cui intreccio si dipanava sul filo di una narrazione di sé fatta in terza persona. Quindici giorni dopo il ‘Quadrivio’ pubblicò in prima pagina una riproduzione facsimilare dell’ultima carta del manoscritto, da Sardus ceduta ad Alfredo Mezio (la prima fu donata a Remo Branca). Ai primi di settembre, dietro richiesta, fu consegnato un blocco di cinquanta carte alla redazione della Nuova Antologia, affinché l’inedito potesse cominciare a essere nella disponibilità del suo redattore capo, Antonio Baldini. Il 16 la rivista, dopo significativi interventi correttori, iniziò la pubblicazione a puntate.

Nel maggio del 1937 – ulteriormente riveduta ed emendata – l’opera uscì per i tipi della Treves. Da quel momento il testo conobbe vicende ed evoluzioni diverse. La collana Filologia della letteratura degli Italiani ne propone per la prima volta l’edizione critica. Dopo un’attenta analisi Manca è giunto alla conclusione che vi siano stati, in tempi diversi, gli interventi di almeno tre mani: della Deledda, di Sardus e di Baldini. Ad esse hanno corrisposto strumenti scrittori diversi. La portata e la qualità degli interventi posti in essere dai curatori postumi cambiarono e non di poco l’identità primitiva del testo. Il lavoro editoriale, infatti, non si limitò soltanto alle sviste, ma spesso si estese agli aspetti sostanziali e alla modifica dei contenuti con revisioni, spesso arbitrarie. Ad un altro livello si collocano invece gli interventi censori che in vario modo (attenuazioni, eufemizzazioni, vere e proprie espunzioni) andarono a mitigare una certa crudezza del racconto e alcuni chiari riferimenti a situazioni, fatti, persone, comportamenti considerati sconvenienti e inopportuni per ragioni – considerato il contesto storico – non solo personali (allusioni o richiami espliciti alla sessualità, all’alcolismo di Sardus, ad atti di violenza, a furti, omicidi, nomi di banditi).
Con Cosima si chiuse la parabola letteraria ed esistenziale della Deledda. Esso può essere considerato il suo romanzo-testamento, l’opera della rivisitazione e della riappropriazione insieme, del nóstos e de sa recuida, del ritorno con la memoria a Itaca, al cordone ombelicale mai reciso con la Madre-Terra, a un sentimento del tempo, quello dell’infanzia e dell’adolescenza, irrimediabilmente perduto.

 

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