Vita tra ghiacci e pinguini: l’esperienza in Antartide di un biologo cagliaritano

“Quando soffia il vento, può raggiungere anche duecento chilometri orari. Allora la temperatura arriva a meno trenta ed è impossibile stare fuori. Ma più terribile è il whiteout: un turbine di nevischio talmente fitto che non si vede a un metro di distanza, ogni cosa è indistinta e sparisce l’orizzonte. A quel punto tutte le attività devono essere sospese”.

Alessandro Cau, giovane biologo cagliaritano, è appena tornato da una missione di ricerca in Antartide: ha vissuto per quaranta giorni a Baia Terra Nova tra dicembre e febbraio, nel pieno dell’estate antartica quando il clima è accettabile per le attività umane. Due gradi sopra lo zero nelle ore più calde, una decina sottozero nei momenti freddi: temperature sopportabili, se non fosse per quel vento polare che ti fa ghiacciare la tuta, per le tempeste di neve che arrivano all’improvviso e bloccano qualunque lavoro, per il freddo percepito che arriva a venticinque, trenta gradi sotto lo zero.

Un’esperienza unica che ha vissuto come ricercatore di un progetto sul cambiamento degli ecosistemi costieri coordinato da Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile all’interno del Programma Nazionale di Ricerca in Antartide.
“L’obiettivo del progetto, che ha coinvolto diversi Atenei italiani, la Stazione Zoologica di Napoli e il CNR, è monitorare le dinamiche trofiche marine della costa antartidea con analisi di acqua, zooplancton, fitoplancton, sedimenti, dati correntometrici: elementi che possono darci informazioni preziose sugli effetti dei cambiamenti climatici su questi ecosistemi. Ci interessava inoltre osservare l’ecosistema in un momento in cui il pack, il ghiaccio che ricopre tutta la costa di Baia Terra Nova, si scioglie e si trasforma in acque libere”.
Cau, che nonostante la giovanissima età (è nato nel 1987) è stato convocato nella missione in Antartide per i suoi studi sulla biologia marina, è arrivato a Baia Terra Nova, dove si trova la base italiana ‘Mario Zucchelli’ operativa dal 1985, il 27 dicembre scorso dopo un lungo volo fino alla Nuova Zelanda e un viaggio di due settimane in nave.

È rimasto qui fino al 12 febbraio scorso: quaranta giorni lontano dalle comodità di casa, senza telefono e internet se non per poche ore al giorno. “Siamo talmente abituati a essere sempre connessi che all’inizio è stato uno choc. In realtà ho vissuto questo distacco positivamente, e comunque le comunicazioni con le famiglie erano garantite anche se solo in certi orari. E poi siamo stati i primi, con la missione attuale, a usare whatsapp dall’Antartide”.
La giornata al Polo Sud è scandita dall’orologio, dato che fa luce per 24 ore al dì: “Sveglia alle 7, colazione, poi si lavora dalle 8 fino alle 20 con una pausa per il pranzo. Dopo cena ci si rilassa con un film, una partita a ping pong o biliardino”. Oltre agli italiani del Programma Nazionale di Ricerca in Antartide passano per la base ‘Mario Zucchelli’ anche tedeschi, americani, neozelandesi: in totale nella campagna estiva di ricerca in Antartide arrivano più di duecento persone per 17 progetti di ricerca scientifica internazionale.
Oltre a Cau c’erano altri cinque sardi: i ricercatori Mauro De Mauro del Cnr e Luigi Zucca per Enea, il palombaro della Marina Militare Tommaso Pischedda e il maresciallo della Marina Gianluca Giannotti, lo chef Franco Lubelli. E a proposito di cibo, l’alimentazione non era poi così male: “La nave con i rifornimenti arriva ogni 40 giorni circa, allora vengono portati alla base anche alimenti freschi come frutta e verdura. Per il resto si usano cibi che possono essere conservati a lungo, in generale si mangia come a casa. In una missione del genere l’alimentazione è fondamentale per recuperare energie, che a quelle temperature si consumano tantissimo, e anche per avere un momento di condivisione e incontro con il resto del gruppo. E noi italiani sappiamo bene quanto questo sia importante”.
Il rientro per Cau è stato pesante, dopo un lungo viaggio in nave e il fuso orario, ma ha cercato di riprendere subito i ritmi del quotidiano. Le analisi fatte durante la missione al Polo Sud sono solo il primo passo di una ricerca che sarà lunga e complessa: “A giorni aspettiamo l’arrivo dei campioni che abbiamo prelevato, poi si faranno le analisi e i confronti necessari. Per il loro studio dovremo tenere conto anche dei risultati ottenuti negli anni passati, capire se ci sono dei cambiamenti e come eventualmente dovranno essere valutati”.

E il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, l’aumento del livello del mare? “È un argomento molto complesso: sappiamo che in Antartide negli ultimi anni c’è un aumento dei ghiacci continentali, a differenza di quanto accade al Polo Nord dove la superficie diminuisce. A mio avviso gli allarmi sono sicuramente necessari ma spesso eccessivi, si tende a estremizzare quando si pensa a dove potrebbero portare questi cambiamenti. L’uomo ha un impatto molto importante sul pianeta e la sua attività/crescita è il principale artefice di questo cambiamento; certamente stiamo vivendo un aumento delle temperature o, più in generale, osservando dei cambiamenti, ma non siamo ancora sicuri su dove questi porteranno: quello che vediamo potrebbe essere la chiusura di un ciclo o l’inizio di uno nuovo”.

Francesca Mulas

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