Strangolata con le mani e un laccio: Michela ha lottato prima di morire

Michela Fiori, uccisa dall’ex marito il 23 dicembre, ha lottato con tutte le sue forze prima di morire. Lo prova una ferita alla mano, una ferita da taglio che la donna deve essersi fatta – hanno ricostruito gli inquirenti – per strappare il coltello da cucina con cui Marcello Tilloca, l’uxoricida 42enne, la stava minacciando.

Ma non è l’unico dettaglio che emerge su quanto accaduto domenica in quella casa di via Vittorio Veneto, al civico 104, nel quartiere di Sant’Agostino. Perché Michela Fiori non è stata ammazzata con le sole mani: l’ultima cosa che Tilloca le ha stretto al collo è stato un laccio, probabilmente un guinzaglio per gatti. Poi ha preso in braccio l’ex moglie e l’ha portata sul letto, addirittura rimboccandole le coperte prima di chiudersi la porta d’ingresso alle spalle.

Michela Fiori è stata uccisa di mattina, non nel pomeriggio come sembrava inizialmente. L’omicidio è avvenuto tra le 11 e le 12, dopo che Tilloca è andato a prendere i figli, di 10 e 12 anni, alla scuola calcio e poi li ha accompagnati dalla sorella dicendo ai due ragazzini che aveva da fare. Invece nella sua mente c’era solo l’ossessione di vendicarsi con l’ex moglie che aveva deciso di lasciarlo. Di separarsi da quell’uomo che aveva il vizio del gioco d’azzardo arrivando a far sparire il cellulare di uno dei figli per poi fingersi un ladro e chiedere alla moglie 300 euro per la restituzione.

L’assassino di Michela, per entrare in casa dalla moglie, non ha forzato la porta, anche se la donna aveva cambiato la serratura. Tilloca potrebbe aver trovato una scusa per farsi aprire. Ma non si esclude che sia entrato autonomamente con le chiavi, magari chiedendole al figlio maggiore. Di certo Michela la sua battaglia per vivere l’ha combattuta sino alla fine, nell’andito tra l’ingresso e la stanza da letto, lì dove per terra è stato trovato il coltello da cucina.

Tilocca ha confessato l’omicidio nel pomeriggio, dopo aver chiamato un avvocato, Stefano Carboni, che lo ha accompagnato nella caserma dei carabinieri e poi ha rinunciato all’incarico. Il secondo legale contattato, Edoardo Morette lo ha difeso una sola giornata, il 24 dicembre, nel giorno della convalida dell’arresto e poi anche lui si è fatto da parte (leggi qui). Tra l’omicidio e la chiamata al primo avvocato c’è un buco di qualche ora che Tilloca deve aver passato vagando per la città in attesa di prendere una decisione.

Oggi sul corpo di Michela verrà fatta l’autopsia: al medico legale il compito di confermare la morte per strangolamento, anche attraverso quel collo martoriato dalle mani di Tilloca prima e dal laccio che poi l’uomo le ha stretto sino all’ultimo respiro. Il fascicolo sul femminicidio di Alghero è in mano al sostituto procuratore Mario Leo. Agli atti stanno finendo anche le testimonianze raccolte dai familiari e dagli amici della donna che temeva per la sua vita. Michela avrebbe detto ad alcune persone vicine: “Se mi dovesse succedere qualcosa, cercato di fare in modo che i miei figli stiano con mia mamma”.

Michela aveva paura di morire. Michela sapeva che quell’uomo era violento. E per questo lo aveva lasciato, anche se era costretta a vederlo spesso perché lui viveva a casa della madre, nella stessa palazzina in cui Michela abitava coi suoi due figli. Proprio per onorare la memoria di Michela, Sardinia Post ha deciso di non pubblicare mai le foto che sono su Facebook e la ritraggono insieme all’ex marito. La donna aveva anche chiesto aiuto a un centro anti-violenza.

Il giorno di Natale per ricordare Michela tremila algheresi hanno sfilato in silenzio per le vie del centro. C’erano anche la mamma e il fratello della donna, insieme ai parenti. La marcia si è chiusa con l’impegno di “aiutare i bambini rimasti orfani” e ieri il sindaco Mario Bruno ha annunciato l’apertura di un conto corrente vincolato.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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