Rwm, il Comitato per la riconversione risponde a Confindustria e sindacati

Dopo la presa di posizione di Confindustria e dei sindacati confederali, non si è fatta attendere la replica del Comitato per la riconversione della fabbrica di armi Rwm Italia di Domusnovas. “Ha dell’incredibile che dei sindacati si fermino alla valutazione della regolarità formale di un’attività produttiva e non prendano in esame la sostanza dei fatti – si legge in una nota del Comitato – organizzazioni che fondano sul principio di solidarietà il loro agire sociale non possono non fermarsi a considerare che i lavoratori e i cittadini dello Yemen, vittime delle produzioni belliche della fabbrica di Domusnovas sono compagni, fratelli, amici di quelli di Domusnovas e Ghedi e nulla hanno fatto contro di loro o contro il nostro Paese”.

“Nel comunicato, giustamente, si afferma che la nostra area è ‘caratterizzata da una profondissima crisi economica’ – prosegue la nota -. Ci autorizza forse la crisi che stiamo vivendo a rifarci su una popolazione innocente basando sulla sua distruzione i nostri guadagni? Gli Statuti della Cisl e della Cgil, agli articoli 2, fanno entrambi riferimento all’importanza del perseguire rapporti con i lavoratori di tutto il mondo volti alla costruzione della Pace; è producendo bombe per bombardare civili, ospedali, case e bambini in Yemen (Ban Ki-Moon, 5 febbraio 2016) che promuoviamo rapporti di pace? I rappresentanti locali delle tre organizzazioni sostengono che la riconversione non è praticabile. Noi pensiamo di sì e fondiamo la nostra convinzione, oltre che sul buon senso, anche sul dettato della L.185/90 che, all’art.1 – c.3, prevede che il governo predisponga piani di riconversione delle industrie belliche. In ogni caso, se la strada della riconversione fosse troppo in salita, quella produzione non potrebbe comunque andare avanti, in quanto contraria alle norme morali, etiche e giuridiche. O la RWM decide di cambiare filosofia aziendale e sospende le forniture ai paesi in guerra come previsto dalle leggi di tutti i paesi europei, oppure la fabbrica va chiusa e sostituita con altre attività”, conclude il Comitato.

 

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