Morì di infarto dopo 6 ore di attesa al Pronto soccorso: l’Aou risarcisce i familiari

Quattro lunghi anni di battaglia, ma alla fine i familiari di Vittoria Fadda, 73 anni, deceduta il 14 ottobre 2017 al Pronto soccorso dell’ospedale Santissima Annunziata di Sassari, hanno avuto riconosciute le loro ragioni. “Potevano salvarla, bastava solo che la visitassero un po’ prima” aveva denunciato il marito all’indomani della tragedia.

Aveva ragione, nonostante il direttore del Pronto soccorso, il dottor Mario Oppes, avesse difeso e definito corretto l’operato dei suoi dottori. I familiari, assistiti nella lunga battaglia da Studio3A, hanno visto riconosciute in pieno dai periti del Tribunale tutte le loro perplessità su come la loro cara non avesse ricevuto assistenza immediata e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari li ha risarciti con una somma rilevante. La donna, che soffriva di svariate patologie e a cui era appena stato asportato un rene con conseguente inizio della dialisi, il 13 ottobre 2017 sviene in casa. Il marito chiama il 118 e la paziente viene portata al Pronto Soccorso dell’ospedale civile di Sassari. Entra alle alle 19.12: l’uomo consegna tutta la documentazione medica al Triage, facendo presente che l’indomani la moglie deve sottoporsi a dialisi. Le assegnano il codice verde ma da allora resta per ore nel corridoio del pronto soccorso senza che nessun medico o infermiere la veda, nonostante il marito solleciti una visita. Finalmente, all’1 e 28 del 14 ottobre, più di sei ore dopo il suo arrivo, Vittoria Fadda viene chiamata per essere visitata ma all’1 e 45, mentre le misurano la pressione e la stanno per sottoporre all’ecocardiogramma alla luce degli elevati valori di potassio nel sangue registrati tramite l’emogasanalisi arteriosa, va in arresto cardiaco. I sanitari tentano la rianimazione cardiopolmonare, sia attraverso le classiche manovre sia con la somministrazione di farmaci per ristabilire l’attività cardiaca, ma un’ora e mezza dopo, alle 3.05, viene constatato il decesso.

Il marito e il figlio, sconvolti, hanno subito puntato il dito su quella lunga attesa e alcuni mesi dopo hanno deciso di fare piena luce sui fatti e le responsabilità. Così cominciano le perizie, come quella del medico legale Gaetano Quaranta. “Il quale, con una dettagliata relazione, ha puntualmente rilevato come il decesso fosse stato effettivamente determinato dal ritardo diagnostico e terapeutico, ricordando che, quand’anche alla paziente fosse stato attribuito il codice verde (gravavano anche dubbi sull’effettiva assegnazione di un codice/colore di Triage), da linee guida avrebbe dovuto essere visitata o rivalutata nell’arco di 30-40 minuti, non certo 6 ore”, spiegano dallo Studio3A. Non è bastato a convincere l’Aou di Sassari che ha negato la richiesta di risarcimento danni.

Dopo un’istanza di accertamento tecnico preventivo i periti nominati dal tribunale sono giunti alle stesse conclusioni. La perizia ha confermato in pieno le osservazioni dei familiari e di Studio3A. I due consulenti tecnici hanno chiarito innanzitutto che il decesso è stato dovuto a una “tachiaritmia cardiaca (fibrillazione) da iperkaliemia in quadro di insufficienza renale cronica in soggetto con dialisi”, ma soprattutto hanno accertato il grave e fatale ritardo con cui la paziente è stata presa in carico. “Il punto centrale della vicenda – scrivono – sta nella gestione messa in atto tra l’accesso al Pronto Soccorso, alle 19.12, e quello alle cure, all’1.28. Secondo quanto previsto dalle linee di indirizzo in tema di triage e gestione del paziente afferente al Ps, finalità del triage è distribuire cronologicamente i pazienti in base al livello di emergenze/urgenza e sorvegliarli. La sorveglianza avviene attraverso la “rivalutazione” dei pazienti, che va svolta o in base al giudizio del triagista o delle richieste del paziente o qualora sia passato il tempo massimo di attesa previsto dai codici colore (60 minuti nel caso di codice colore verde). Nel caso in esame in realtà non è stata erogata alcuna prestazione per 316 minuti, momento in cui la vittima è acceduta a visita”.

“Di fronte a queste inequivocabili conclusioni, l’Azienda sanitaria e la sua compagnia di assicurazione, anche per evitare una causa, hanno deciso di assumersi le loro responsabilità”, scrivono i legali dei familiari. E, dopo una lunga trattativa con Studio3A, è stato raggiunto un accordo stragiudiziale: il marito e il figlio sono stati risarciti di una somma importante.

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