Maestre violente, le carte bollate contro le bacchette

Dai banchi della scuola a quelli del tribunale. Due episodi di cronaca diversi, un filo comune che lega maestre, alunni bambini e genitori. E in un caso, a Sassari, i metodi educativi bruschi di un’insegnante delle scuole elementari sono stati definiti reato “abuso dei mezzi di correzione o di disciplina”. E così per la maestra è stato chiesto il rinvio a giudizio.

Molti chilometri più a sud, nel Medio Campidano, a Serrenti, ce n’è un’altra che lavora con bimbi ancora più piccoli, alla scuola materna. Anche lei avrebbe esagerato, raccontano i bambini ai genitori, dopo musi lunghi e silenzi sospetti. La donna  li avrebbe spaventati a tal punto che molti si sono rifiutati di tornare all’asilo, e hanno trascorso buona parte dell’anno a casa. L’ultimo capitolo è la denuncia ai Carabinieri, a novembre. Prima ancora c’è stata la raccolta di firme di mamma e papà, il confronto con alcune conferme e testimonianze che sarebbero arrivate addirittura dalle colleghe.

Solo ora, dopo vari mesi di assenza, un’alunna è stata cambiata di sezione come era stato chiesto all’inizio della triste, e delicata, vicenda. Tutto concluso, quindi? Non proprio. I genitori raccontano che aspettano serenamente in responso del giudice, indietro non si torna. E  condannano simili metodi educativi. «Incidono nella formazione dei bambini di tenera età – hanno spiegato alla cronista de l’Unione sarda – Creature indifese. Che meritano rispetto ed una guida sicura».

Quali sono i comportamenti contestati? In entrambi i casi, che uniscono il nord e il sud dell’Isola (non a caso domenica sono stati raccontati il primo da La Nuova Sardegna, il secondo da l’Unione) sarebbero stati urla, rimproveri esagerati e poi prese in giro giudicate poco benevole: epiteti come “asini, lumache, tartarughe” che causano il riso collettivo degli altri bimbi. E le prese in giro. Ma non solo: le maestre avrebbero tirato i capelli, le orecchie, dato schiaffi e schiacciato gli occhi. Oltre alla più tradizionale delle punizioni: le botte sulle mani. Senza quella vecchia bacchetta che un tempo faceva parte dell’arredo scolastico. Per far star buono chi è dall’altra parte, nell’aula, con il più semplice degli strumenti a disposizione: la paura. Senza spiegare ragioni e motivi. Senza indicare causa e conseguenza. Senza educare o insegnare, insomma.

Dalla scuola scalcinata, ma affollata, di Lula degli anni ’60 del maestro unico Albino Bernardini alle scuole dell’isola con sempre meno iscritti, perché nascono pochi bimbi. Di certo, dal racconto in prima persona pubblicato col titolo  “Le bacchette di Lula” (La Nuova Italia, 1969 – riedizione Ilisso-2003) è cambiata la consapevolezza, e partecipazione, soprattutto dei genitori e alunni.  La rivoluzione totale contro metodi considerati drastici – e comunque inutili- è quindi ancora da compiere. E la strada sembra quella delle carte bollate.  Pure questa da spiegare agli alunni.

Monia Melis

 

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