Quella sua ansia di infinito

A quasi 94 anni ci ha lasciato Maria Lai, poetessa e artista considerata una tra le più grandi figure di riferimento dell’arte tessile (textile and fiber art) nel panorama italiano ed internazionale che ha fatto del filo tessuto, aggrovigliato e infinito il suo personale linguaggio espressivo. Recuperando la tradizione artigianale del tessere e filare ne ha rinnovato l’estetica e il significato approfondendo i processi e le lavorazioni dei materiali: la mano, il colore, il modo di intrecciare o annodare i fili sono diventati i nuovi veicoli espressivi per comunicare il suo pensiero. Il tessuto si fa scultura e pittura mantenendo un approccio tridimensionale dato dalla matericità di cui è composto, ma conservando una caratteristica di flessibilità e di movimento che ancor più si fa portavoce di questo tempo.

Le opere di Maria Lai si basano sul filo e sul suo valore simbolico come mezzo di unione e coesione. Maria Lai “cuce” le memorie e le inquietudini del suo spirito attraverso il ricamo su tessuto, unico e particolare come la sua espressione artistica. Il filo materico, segno distintivo, archetipo della sua isola, con cui costruisce immagini poetiche come racconti cuciti, scritture illeggibili in cui è aggrovigliato, non finito sulla tela, una decorazione, ma soprattutto il simbolo dell’infinito, della creatività e del racconto che non deve mai avere una fine perché tante possono essere le letture attribuibili.

Tra le sue opere più importanti, i libri cuciti: Tenendo per mano il sole (1983) e Tenendo per mano l’ombra (1993), fatti di pagine pesanti di tessuto in cui i fili forano la tela, la bucano, la attraversano, si annodano, s’ingarbugliano e si liberano, formando una tessitura senza parole e senza alfabeto. Il risultato sono opere dove il ricamo, la favola e la tradizione si mescolano per dare vita ad inedite e suggestive narrazioni, come le fate operose (1987) ispirate al mito delle Janas, metà fate metà streghe, che nate da uno sciame di api per volere di un Dio Distratto, avevano il compito di insegnare alle donne sarde a tessere e filare, come se dovessero insegnare loro a parlare: i fili come parole, i filati come il parlare, è l’alfabeto che le Janas regalarono perché si compisse la memoria delle loro figlie, delle loro genti.

Le Mappe cucite sono altre importantissime opere di Maria Lai, in cui ritorna sempre il filo come elemento che collega luoghi lontani tra la realtà e l’immaginazione. Spesso aggrovigliati, rappresentano come sempre nelle opere dell’artista, i problemi, le paure e le ansie dell’uomo e il suo senso di impotenza di fronte al mondo intero. L’elemento di salvezza che la Lai lascia in ogni sua opera sono i fili non finiti che fuoriescono dalla tela e che permettono all’osservatore di fantasticare sul poterli tirare per sciogliere il groviglio e dare fine alle sue paure.
Un filo come quello azzurro che, nel 1981, legò la sua Ulassai alla montagna, un importantissimo esempio di arte partecipativa urbana con lo scopo di raccontare un territorio attraverso i sentimenti contrastanti di chi lo vive, svelando le relazioni d’amore, solidarietà ed inimicizia (Maria Lai, Legarsi alla Montagna, Ulassai 1981).

“Il viaggio è la casa. Non solo la mia casa, ma quella di tutti noi. Siamo sulla terra, che gira a circa trenta chilometri al secondo, in un viaggio che è pur sempre un viaggio speciale, dove non si distingue la partenza dal ritorno. La vera nostalgia non è quella per un’isola. È l’ansia di infinito.”

Ciao Maria e grazie per averci regalato l’ansia di infinito…

Sardegna Digital Library
Stazione dell’Arte di Ulassai

 Federica Vacca

(dottore di ricerca e docente di Design della moda e degli interni al Politecnico di Milano)

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