Giustizia, il sostegno dei consiglieri regionali ai magistrati onorari

Sostegno pieno da parte dei consiglieri regionali sardi alle rivendicazioni dei magistrati onorari. “Sono i professionisti che mantengono in piedi il sistema giudiziario, garantendo la buona pace e la regolamentazione di conflitti che riguardano tutti noi, senza di loro gran parte delle udienze non si potrebbe tenere”, spiega la consigliera del Campo Progressista Anna Maria Busia. Questo pomeriggio, con i colleghi Gianfranco Congiu (Partito dei sardi) e Paolo Truzzu (Fdi), ha presentato le due mozioni approvate all’unanimità dal Consiglio regionale per promuovere la rimodulazione della riforma sulla magistratura onoraria prevista dal decreto legislativo del Governo del 5 maggio scorso. Un provvedimento, è scritto nelle mozioni, che “precarizza le condizioni di questi professionisti, riducendone gli orari di lavoro e la retribuzione senza garantire il sostegno previdenziale e assicurativo”.

Per questo, incalza Busia, “va modificato”. “Non è tollerabile che questa incertezza sia favorita da uno schema di decreto legislativo che certifica la precarietà e la non accessibilità dei magistrati onorari a forme di professionalizzazione che invece si sono conquistati sul campo”, dice Congiu. Per Paolo Truzzu, “la riforma proposta dal Governo è doppiamente sbagliata perché, da una parte, mortifica il lavoro dei magistrati onorari tagliando retribuzioni e diritti e, dall’altra, assegna loro più competenze e più responsabilità, un atteggiamento che da parte dello Stato è inammissibile”. In Sardegna, ha ricordato a nome dalla categoria la vice procuratrice onoraria ad Oristano Daniela Muntoni, “operano circa 160 magistrati onorari, in alcuni casi da circa 20 anni, che percepiscono una indennità media inferiore ai 1.500 euro lordi mensili, tenendo cinque udienze alla settimana nelle quali vengono esaminati dai 20 ai 40 fascicoli a seconda della complessità dei casi”. Una notevole mole di lavoro pari ad oltre la metà del contenzioso civile, ha aggiunto, “impossibile da garantire con la riforma che limita l’attività, con retribuzioni più che dimezzate e senza diritti come previdenza, malattia e maternità”.

 

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