Disabile escluso dalla scuola, la madre: “Vergogna, lo Stato ci volta la faccia”

Stefano ha 19 anni e una paralisi cerebrale infantile complicata da un’epilessia farmaco resistente. Parla pochissimo ma si fa capire. E come succede in ogni Paese civile che si rispetti, anche Stefano aveva il diritto di stare in una classe con i suoi coetanei, di frequentare un’aula anche dopo la scuola dell’obbligo. Stefano è un nome di fantasia per proteggere la privacy di un ragazzino con gli occhi neri che ha perso il suo diritto all’istruzione. Stefano, da quest’anno, è fuori dall’Istituto professionale per i servizi socio-sanitari. “Per assenza di iscritti, non c’è la Quarta, quella che mio figlio avrebbe dovuto frequentare. L’alternativa era cambiare Stefano di corso e iscriverlo in una classe da 30 alunni, ma si tratta di un contesto incompatibile per chi soffre di epilessia”.

Stefano è dall’anno scorso che la mattina non si sveglia più per andare a scuola. “La prima mazzata è arrivata con la Dad”. La didattica a distanza, impossibile in caso di grave disabilità, visto che l’insegnante di sostegno non poteva andare a casa di Stefano. “Adesso la seconda randellata – continua la signora -: la scuola non fa nulla per evitare che Stefano finisca fuori dalla società“. La mamma del 19enne non nasconde nessun particolare, anche il più sofferto, e dice ancora: “Io lo sapevo che molti dei suoi ex compagni nemmeno gli rivolgevano la parola. Però di quelle giornate qualcosa gli restava, ne sono sicura. La mattina aveva voglia di uscire”.

Nel 2020, primo anno del Covid, con le scuole chiuse a marzo e la didattica a distanza sino a giugno, Stefano è stato bocciato. “Il problema non è certo ripetere un anno. Il problema è l’esclusione di un 19enne dalla vita sociale”. La mamma di Stefano non fa giri di parole: “Nell’Istituto professionale di mio figlio quasi tutti i ragazzi con difficoltà sono stati bocciati. Mi chiedo: nessuno vigila su questo disastro? Nessuno controlla il fallimento di un’istruzione che lascia indietro le persone fragili”.

Sino alla Medie, Stefano era un bambino inserito in un contesto di socialità. “Abitiamo in una piccola cittadina e i compagni passavano a casa a prenderlo e poi continuavano a piedi, anche insieme a lui, il tragitto verso la scuola. Alle Superiori è cambiato tutto. Passi che non tutti i giovani hanno genitori che insegnano loro a sostenere le persone più fragili: accettarlo mi viene difficile, però si tratta pur sempre di ragazzini. Altro cosa è il disinteresse della scuola. Vuol dire che a voltarsi dall’altra parte è lo Stato”.

La mamma di Stefano ci ha fatto il callo alle dinamiche di esclusione. Ma abituarsi all’emerginazione del proprio figlio “non è possibile, non ce la si fa. È difficile da digerire. Fa male ogni volta, come se fosse sempre la prima, rendersi conto di quanto il mondo non sia preparato ad accogliere i giovani come mio figlio. Nessuno pensa che tutti gli Stefano del mondo a scuola devono andare non per quello che possono prendere, ma per quello che possono dare. Invece succede che nemmeno gli insegnanti fanno lo sforzo di avvicinare la classe allo studente più fragile. Così finisce ogni ragionamento”.

Stefano ha un’unica ex compagna che è pensa a lui. “È una ragazza che ha trascorso l’infanzia in un orfanotrofio – racconta ancora la madre del 19enne -. Stefano si illumina ogni volta che la vede”. Per il resto, le giornate di questo studente ‘punito’ trascorrono con gli unici svaghi che i genitori organizzano per lui. Compreso “il progetto con la legge 162, il Piano personalizzato per l’alleggerimento del carico familiare. Noi abbiamo scelto l’attività sportiva. Ma torniamo sempre lì: per Stefano c’è un educatrice, non un coetaneo, non un altro giovane. L’interazione è sempre e solo con un adulto”.

In una famiglia con un ragazzo disabile, si fermano tutti quando manca lo Stato, quando la scuola non si fa carico del disagio. “Io ho 46 anni, mio marito cinquanta. Non abbiamo una vita normale. Non possiamo andare una giornata in spiaggia. Stefano ha bisogno del nostro totale accudimento, perché il Covid è diventato una scusa per giustificare l’emarginazione dei disabili”. Non c’è altro da aggiungere alle parole che la mamma di Stefano dice non solo per suo figlio. Ma per tutti i gli esclusi. I dimenticati. I diversi.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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