Cpsa, Cara e Sprar: i servizi per migranti dalla prima accoglienza ai progetti integrati

Arrivano soprattutto da Eritrea, Somalia, Mali, Ghana, Nigeria e Siria, in genere su barconi che trasportano centinaia di disperati come loro. Attraversano il Mediterraneo e dopo giorni di viaggio sbarcano sulle cose italiane. In genere è Lampedusa ad accoglierli ma nel 2014 alcuni di loro, 159 per l’esattezza, sono approdati direttamente sulle coste sarde, nel Sulcis. Da qui migliaia di migranti che dal continente africano o dal Medio Oriente arrivano in Italia iniziano una nuova vita fatta di attese: l’attesa per un permesso di soggiorno, l’attesa di raggiungere parenti o amici lontani, l’attesa di un lavoro o semplicemente di un futuro senza guerre e miseria.

Dopo il loro arrivo in terra italiana il Ministero si occupa di dividere gli immigrati tra le varie regioni secondo quote precise definite in base alla popolazione, per distribuire oneri e responsabilità ed evitare di sovraccaricare le singole strutture: all’isola spetta il 2% del totale. Il punto di arrivo è il Centro di Prima accoglienza e soccorso (Cpsa) di Elmas, che dal 2013 è diventato anche Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara), oggi ospita circa 300 persone. Gli altri che non trovano posto a Elmas sono accolti nelle strutture temporanee di privati, associazioni o cooperative sparse nell’isola che in convenzione con le Prefetture danno sostegno ai migranti in attesa del responso sulla richiesta di asilo politico. Quasi tutti i migranti che approdano in Italia presentano una richiesta di asilo politico che viene esaminata entro sei, sette mesi da una Commissione: l’80% delle richieste di solito è respinto ma tutti presentano ricorso con il risultato che la permanenza nel nostro paese si allunga per diversi mesi.

A una prima fase di accoglienza segue la seconda accoglienza: è la rete Sprar, il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati destinato, secondo il sito osservatoriomigranti.org, all’integrazione sociale ed economica di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale (rifugiati, titolari di protezione sussidiaria o umanitaria).  È organizzato da un protocollo di intesa tra Ministero dell’Interno, Anci e Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR) e finanziato sulle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.
In questa fase i protagonisti sono gli enti territoriali: sta alle amministrazioni comunali o provinciali presentare i progetti Sprar per accogliere gli stranieri. “I progetti – si legge ancora sulla pagina del sito Osservatoriomigranti – prevedono l’accoglienza di singoli e/o famiglie in appartamenti o in centri collettivi, e lo svolgimento di una serie di attività per favorire la loro integrazione sul territorio. I servizi offerti dai singoli progetti territoriali dello SPRAR sono assistenza sanitaria, assistenza sociale, attività multiculturali, inserimento scolastico dei minori, mediazione linguistica e interculturale, orientamento e informazione legale, servizi per l’alloggio, servizi per l’inserimento lavorativo, servizi per la formazione”.

Se il sistema di prima accoglienza è nell’isola ormai consolidato non si può dire lo stesso per lo Sprar, praticamente inesistente. A parte tre eccezioni: dal 2007 c’è la Provincia di Cagliari con il programma “Emilio Lussu”, gestito dall’Associazione “Cooperazione e Confronto”- Onlus di Don Ettore Cannavera; il comune di Villasimius con “Terra dell’Uomo”, attivato dal 2014 e gestito dall’associazione Gus onlus di Macerata; infine il comune di Quartu Sant’Elena, con il suo progetto gestito dalla Caritas cagliaritana.

Francesca Mulas

 

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