Buona scuola, a 52 anni trasferito a Palermo: “Una riforma umiliante”

Quella di M.S, cagliaritano, insegnante precario da trent’anni, è una storia come ce ne sono tante: ha iniziato a lavorare a scuola come supplente nel 1987 e così ha continuato fino a ora. Contratti per un anno o meno, ogni estate la sorpresa della nuova destinazione. Fino alla promessa di un impiego finalmente a tempo indeterminato con il piano straordinario di assunzioni avviata dal Governo Renzi due anni fa. Un sogno che per molti però si è trasformato in un incubo: un lavoro stabile, sì, ma per tantissimi lontano da casa, addirittura in un’altra regione.
“Umiliante lasciare tutto e partire lontano: a 52 anni non si può abbandonare la propria casa, gli affetti, dopo aver lavorato una vita”. L’insegnante cagliaritano, che ci racconta la sua storia a patto che non scriviamo il suo nome, è però andato incontro a un destino diverso da tutti gli altri precari sardi con cattedra a Nord: a settembre prenderà servizio nel Meridione, a Palermo, in quella stessa Sicilia da cui in tanti sono stati costretti a partire. “Quando abbiamo presentato la domanda, qualche mese fa, ci hanno chiesto di fare un elenco delle regioni in cui avremo preferito lavorare. Ovviamente ho scelto Cagliari, la seconda destinazione era Palermo, un’altra città di mare. E lì mi hanno assegnato”.

M.S., entrato nell’ultimo giro di assunzioni decise dopo la sentenza della Corte Europea sulla stabilizzazione dei precari storici, non parla di ‘esodo biblico’, ‘deportazione coatta’ e ‘misura indecente’ come hanno fatto tanti suoi colleghi nel criticare la recente riforma ‘La buona scuola’. La sua posizione però è molto severa sul piano di assunzioni: “Siamo stati praticamente obbligati ad accettare il trasferimento in altra sede, il rifiuto avrebbe portato la perdita di ogni possibilità di lavorare nella scuola. Abbiamo firmato, certo, ma con un cappio al collo. Starò lì per un anno, poi probabilmente lascerò definitivamente la scuola e inizierò da zero una nuova vita. L’assunzione dei precari storici, imposta dalla Corte Europea, ha avuto questo epilogo: è ovvio che adesso tanti di noi, penso soprattutto alle persone della mia età e non ai giovanissimi, affronteranno quest’anno scolastico e a settembre dell’anno prossimo decideranno se continuare con l’insegnamento o cambiare completamente lavoro. È vero, è stato risolto il problema dei precari, ma soprattutto perché molti a queste condizioni rinunceranno alla scuola”.

Il punto per l’insegnante cagliaritano non è la destinazione: già da tempo si sa che gli insegnanti del Sud sono troppi rispetto al numero delle cattedre disponibili, che le classi meridionali sono poche, che il famoso ‘algoritmo’ che ha lavorato sui numeri per l’assegnazione dei posti su tutto il territorio nazionale non ha fatto altro che mettere insieme domanda e offerta. “La questione principale secondo me e secondo tanti altri insegnanti è che con questa riforma della scuola si guardano più i numeri che la qualità dell’insegnamento: in Sardegna si investe tanto per combattere la dispersione scolastica ma si fa pochissimo per garantire ai ragazzi la frequenza e la continuità. Abbiamo classi numerossime, se ci fosse un piano di razionalizzazione potremo avere aule meno affollate, lavoro per gli insegnanti e una migliore qualità. Chi scrive le riforme dovrebbe rendersi conto che la scuola, come la cultura, necessariamente deve andare in deficit: non si può ragionare sempre in termini di utili o risparmio perché a rimetterci alla fine è l’istruzione e il futuro dei ragazzi. Questa non è una riforma della scuola, è piuttosto il de profundis dell’intero sistema di istruzione”.

(In foto, una recente manifestazione a Cagliari contro la riforma della Buona Scuola)

Francesca Mulas

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