Segnali di luce dal World Press Photo 2014

Il World Press Photo è il più famoso concorso internazionale di fotogiornalismo dove un buon piazzamento è, per i fotografi, una importante consacrazione professionale. Le scelte della giuria hanno sempre premiato e legittimato le tendenze formali e sostanziali dell’informazione per immagini. Un concorso che, secondo molti, indica la rotta del fotogiornalismo mondiale.

Logico quindi che ogni edizione sia seguita da polemiche e dispute, molto spesso innescate da scelte di giuria a volte discutibili. Come quelle delle ultime edizioni, che hanno sistematicamente premiato l’estetica del dolore, l’elezione della tragedia più fotogenica dell’anno con immagini trasfigurate in icone. Con una risoluzione esteriore troppo spesso incongrua rispetto ai drammi rappresentati.

L’edizione 2014 cambia decisamente rotta, premiando come Press Photo of the Year Signal, la fotografia dell’ americano John Stanmeyer, immagine che racconta l’epocale fenomeno delle migrazioni in maniera creativa e decisamente diversa dai clichè ormai codificati.

La foto, in notturna, è illuminata dalla luna e dai display dei cellulari dei migranti che, nella spiaggia di Gibuti, cercano di captare il segnale proveniente dalla non lontana Somalia per comunicare con i parenti.

Per il giurato Jillian Edelstein “È una foto collegata a tante altre storie, apre la discussione sui temi della tecnologia, della globalizzazione, dell’emigrazione, della povertà, della disperazione, dell’alienazione e dell’umanità. Si tratta di un’immagine molto sofisticata, potentemente sfumata. È sottilmente realizzata in modo poetico, ma piena di significato, e riesce a trasmettere questioni di grande gravità e preoccupazione nel mondo di oggi”.
Un’altra giurata, Susan Linfield, ha spiegato che “molte foto mostrano i migranti in immagini tristi e patetiche, ma questa foto è meno romantica, e dà loro dignità”.

Può essere letto come un segno di svolta della fotografia di informazione, liberata dall’obbligo di inseguire la TV proponendo immagini sempre più crude ed esplicite, vanamente addolcite da un’estetica incongrua.

Ma non sono mancate, anche stavolta le polemiche. Una critica riguarda la necessità, nella lettura di questa foro, di una didascalia che la spieghi. È la cultura dell’autosufficienza dell’immagine, retaggio di una visione romantica della fotografia, quella che non ha bisogno di parole per essere compresa. Una visione autoreferenziale che, in tempi di multimedialità sempre più spinta è, fatalmente, fuori tempo.

Tra i vincitori di questa edizione tre fotografi italiani. Bruno D’Amicis, 1° premio nella categoria Natura, con lo scatto della volpe del deserto, il Fennec, una specie protetta a rischio di estinzione, tenuta illegalmente in un recinto di pecore in Tunisia. Gianluca Pannella con Gaza blackout è il vincitore del del 3° premio storie nella categoria General News, mentre Alessandro Penso di OnOff Picture, è il vincitore del 1° premio nella categoria General News, con gli alloggi temporanei dei rifugiati siriani. Una foto dal linguaggio sofisticato, che non mostra ma lascia immaginare con grande efficacia.

Per una volta il WPP anziché assecondare mode e tendenze sceglie una strada alternativa, premiando una sintesi fotografica raffinata, non immediata ma piena di metafore e significati. Una fotografia che si appoggia alla didascalia, alla parola (e, in futuro, anche ad altri media) per raccontare, fare riflettere, suscitare emozioni e suggestioni. È un buon segnale.

Enrico Pinna

 

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