Sardinia and the Art… of Cleopatra

Cleopatra è passata, con tutta la furia che solo la grande regina d’Egitto, la capricciosa amante di Marco Antonio e Giulio Cesare, poteva scatenare. La Sardegna si è inginocchiata ma non piegata; quello che non hanno potuto i suoi conquistatori, non avrebbe certo potuto la loro amante. Ma la storia, in fondo, resta sempre la stessa, forse un po’ costruita su luoghi comuni ma frutto di una saggezza popolare antica quanto il “nemico” che, questa volta, ha colpito questa terra.

Tra i luoghi comuni e le frasi fatte che, da qualsiasi parte del mondo, accompagnano i bollettini di guerra, uno più di altri sembra dato allo scenario desolato di questi giorni: non ci sono né vincitori né vinti. La stessa natura che si è scatenata con tanta violenza, ne è uscita piegata e devastata, perché in fondo la Sardegna, la sua natura, la sua terra è l’anima del popolo che la vive; un popolo che,
a volte, ha bisogno di cadere per rimboccarsi le maniche e riscoprirsi unito. Gente pratica che lascia le polemiche a politicanti e amministratori che non sanno da che parte cominciare, impegnati nel gioco dello scaricarsi le responsabilità. Sanno che arriverà il momento per fare i conti, ma ora bisogna fare, pulire, ricostruire, piangere chi non c’è più.

Penso al mio paesino, Bauladu (dove la 131 è rimasta chiusa per qualche ora e dove l’acqua è scesa come un fiume in piena dalle colline, trascinando rocce e quant’altro, bloccando qualche strada e allagando qualche casa e scantinato), penso a quand’ero piccola e in giornate molto più calde di queste, gli uomini accorrevano solidali “a studai fogu” (altra piaga per cui, prima o poi, dovremo esigere delle risposte) e immagino e so che, anche in questi giorni, la gente comune, estranea a responsabilità e sotterfugi, è scesa per le strade, svegliata dalla tranquillità di un piccolo paese che conta appena 714 abitanti, incredula ma pronta, a non restare con le mani in mano.

Bauladu come tanti altri piccoli centri della Sardegna e come le tante persone che, se anche non colpite direttamente, in queste ore si stanno muovendo per dare una mano. E poi penso ai racconti degli anziani, di quella volta che, quando erano bambini, è piovuto così tanto che l’acqua che scendeva da quella rocca formava una cascata e il fiume si riempiva così tanto da fargli ricordare che c’era un fiume vicino al paese. Chissà quanti racconti come questo in questi giorni e chissà quante persone a chiedersi perché, allora, la nostra terra non permetteva che disastri simili succedessero.

Per avere delle risposte (perché abbiamo il diritto e il dovere di averle), è il momento di non lasciarsi trascinare nelle polemiche, di restare con i piedi per terra e rivolgersi a persone competenti, geologi, ingegneri ed enti preposti, quelle menti che le ragioni della politica non ascolta o ha fatto finta di non ascoltare. Questo ce lo dobbiamo, lo dobbiamo a chi non c’è più e a chi deve ricostruire, lo dobbiamo alla nostra terra, la nostra anima, che, come un bambino che reclama attenzioni, ha dovuto urlare così tanto perché ci fermassimo e ci interrogassimo su quale strada stiamo mai permettendo alle amministrazioni locali, provinciali e regionali di percorrere per noi.

Morena Deriu

(immagine da bauladu.net)

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