Sardi “Aldilàdelmare”: i ritratti di Daniela Zedda in mostra al liceo artistico di Cagliari

Partire da un’isola non è un viaggio come gli altri. Bisogna attraversare mare, raggiungere il “Continente” che, come dice una filastrocca di Bruno Tognolini “è un’isola più grande, dove non ci sono più risposte ma solo domande”.

Per questo lasciare l’Isola non è mai stato facile per i sardi, anche se in tanti lo hanno fatto. Chi voltandosi indietro timoroso o nostalgico, chi guardando diritto davanti a sé. Qualcuno lo ha fatto per caso, altri per necessità, chi come logico percorso di vita, altri perché “i piedi gli bruciavano dentro le scarpe”.

Tanti hanno trovato trovato risposte a quelle domande e sono rimasti, affermandosi e, talvolta, diventando famosi. Sono scrittori, musicisti, attori, registi, scienziati, medici, artisti, architetti, sacerdoti, carabinieri, imprenditori, cuochi, operai, storici dell’arte e giornalisti.

Daniela Zedda, fotografa cagliaritana, ha ripercorso le strade di questi sardi per fotografarli e raccontare le loro storie. Roma, Milano, Barcellona, Bologna, Maranello, Parigi, Copenhagen, Helsinki alcune tappe del suo viaggio durato due anni.

Il risultato è la mostra “Aldilàdelmare” allestita nel Liceo Artistico Statale Foiso Fois, in via Sant’Eusebio (ex Istituto Tecnico Industriale Dionigi Scano) e aperta sino al 26 gennaio 2014. Ottantotto ritratti di sardi che hanno attraversato quella barriera d’acqua che li separava dal mondo per trovare nuove opportunità.

l più giovane ha 22 anni e fa il fantino. Si chiama Andrea Atzeni, è nato a Nurri e vive nell’Olimpo dell’ippica, a Newmarket, Regno Unito. La più autorevole è la scrittrice nuorese Maria Giacobbe, da oltre mezzo secolo residente in Danimarca, la sua seconda patria.

Un tema classico, ma declinato da Daniela Zedda con la sua visione accurata ed originale.
Ritratti ambientati, per scelta, nei luoghi dove i protagonisti si sono affermati, evitando spazi privati ma cercando, piuttosto, sfondi simbolici. Qui il colore, l’inquadratura, l’ambientazione danno corpo e vita a frammenti visivi che lo sguardo e la sensibilità della fotografa trasforma in affascinanti racconti.

A questo contribuisce la tecnica, il sapiente uso della luce, la perfezione grafica della composizione che utilizza con maestria lo sfocato e le fughe prospettiche. Ma anche (e sopratutto) la padronanza del lessico simbolico, che è l’essenza di quel linguaggio fotografico mediato dall’artista che coniuga, con la sua personale prospettiva, gli istanti di un percorso esplorativo e documentario per farlo diventare sintesi visuale ed intensa emozione narrativa.

C’è poi un’altra particolarità di questa mostra che è uno degli eventi fotografici dell’anno. È il luogo dove è stata allestita, caparbiamente voluto dall’autrice, e anch’esso dalla forte connotazione simbolica. Daniela è riuscita a restituire alla città, prima della loro definitiva trasformazione in nuovi spazi didattici, un luogo emblematico: le officine dell’ex Istituto Tecnico Industriale, un tempo fucina di mestieri, per creare e rappresentare metafore e suggestioni uniche.

Il percorso si snoda in quei capannoni dalle grandi finestre che sembrano aprirsi metaforicamente verso quei mondi diversi cercati e trovati dai soggetti ritratti. Quel luogo, un tempo animato dal soffio dei mantici delle forge e dal rumore incessante delle macchine utensili, dove si plasmava il metallo e si imparava un mestiere, simboleggia il patrimonio di abilità lavorative che questi sardi hanno portato con sé nella loro valigia.

Uomini e donne, scrive Maria Paola Masala, autrice dei testi del libro che accompagna la mostra, che avvalorano la ferma convinzione di Daniela Zedda: «Certe caratteristiche di sardità che in casa sono difetti, esportate si trasformano in pregi. L’ostinazione diventa costanza, la diffidenza misura, la timidezza affidabilità. E chi ha talento (e in questo libro ce n’è tanto), riesce a spenderlo al meglio».

«Sardi — prosegue la Masala — legati alla loro terra ma contenti di essere dove sono, anche quando sognano di tornare. La nostalgia appartiene un po’ a tutti, in maniera diversa, ma non impedisce a nessuno di apprezzare il mondo in cui vive ed opera».

Un lavoro perfetto, dove Daniela Zedda supera la rappresentazione del sardo diventato famoso, per ricercare anche storie e personaggi sconosciuti. Una mostra che va al di là della semplice indagine sull’identità ma che, invece, parte da questa per raccontare persone che riescono a fare delle proprie radici un punto di forza per coniugare con successo la propria indole collettiva con le abilità personali.

Un messaggio importante in tempi in cui tanti punti di riferimento vacillano o si sciolgono nel pessimismo e nella svalutazione dei valori su cui è costruita, da secoli, la cultura delle nostre comunità.

Enrico Pinna

 

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