Quello che la fotografia (da sola) non dice

Ci sono complessità che la fotografia fa fatica, da sola, a rappresentare. Un tempo solo la parola era deputata a completare la sintesi fotografica di eventi e situazioni. Oggi un neologismo recente arricchisce i contenuti di racconti complessi ed articolati. La parola è multimedialità. Il mix di tecnologie digitali rese disponibili dal web come iperlink, video, suoni, riesce, insieme alla parola e all’immagine, a creare atmosfere ed emozioni che possono raccontare in maniera più semplice e diretta storie anche molto complicate.

Usando la multimedialità come chiave per aprire tante porte e raccontare quel che resta di eventi recenti è nato il progetto “Al centro di Tunisi. Geografie dello spazio pubblico dopo una Rivoluzione” (https://webdoc.unica.it), una web-ricerca sui luoghi simbolici della contestazione e sulle pratiche degli spazi pubblici del centro di Tunisi, a due anni dalla Rivoluzione del 2011.

La ricerca è stata resa possibile dai finanziamenti della Fondazione Banco di Sardegna, dai fondi del Dipartimento Scienze economiche e Aziendali dell’Universitò di Cagliari (ateneo che ha messo a disposizione anche lo spazio del server della Direzione Reti e Servizi Informatici), dai fondi della Premialità concessi a Maurizio Memoli dalla Regione Autonoma Sardegna, oltre che dai contributi del Politecnico di Torino, dell’agenzia fotografiza Prospekt e della fotografa Rosi Giua.

«Un progetto innovativo — dice Raffaele Cattedra, professore ordinario di geografia presso la Facoltà di studi umanistici dell’Università di Cagliari — che è partito, inizialmente con l’analisi degli spazi pubblici che furono luoghi simbolo della rivoluzione del 2011, nei quali oggi si concentrano i significati condivisi dell’appartenenza civile e politica oltre ad essere quelli in cui sono più esplicite o evidenti le trasformazioni post-rivoluzionarie dell’uso e delle pratiche dello spazio. Sul posto il progetto ha trovato ambiti di sviluppo ancora più ampi ed interessanti».

«Siamo partiti — dice Rosi Giua, autrice delle foto pubblicate — facendo in modo che quanto preparato prima non costituisse un’idea preconcetta, riproponendoci di lasciare ampio spazio ad un percorso di osservazione da costruire sul posto giorno dopo giorno».

Il risultato è un affascinate lavoro d’equipe che traccia un itinerario di luoghi, di persone di pezzi di società che evidenzia i problemi irrisolti e le contraddizioni che accompagnano ogni “dopo”. La macchina fotografica coglie momenti di vita e di aggregazione. La musica è una colonna sonora indispensabile per ricreare atmosfere e suggestioni. Testi e filmati danno voce alle persone: «La gente — dice uno — ha accettato e vissuto la Rivoluzione ma aspetta di vederne i risultati, si sperava ci fossero quest’anno, ma sono rimandati… Di sicuro adesso abbiamo una libertà d’espressione che nessuno potrà toglierci». Una barista la pensa diversamente: «non è più la stessa cosa, è peggio di prima».

Mentre scrivo mi accorgo che sto cercando di raccontare in maniera tradizionale qualcosa di complesso e innovativo che ciascuno di voi può, cliccando qui, leggere in maniera completa, diretta e personale.

Navigando all’interno dello spazio web del progetto, ciascuno potrà scegliere il suo individuale percorso di indagine, ricercare contenuti ed emozioni libero da gabbie grafiche e da costrizioni sequenziali di lettura. Caratteristica che rende affascinante questa forma di racconto.

Siamo solo agli inizi di una nuova era dell’informazione che supera i modelli consolidati per traghettarci verso un’era totalmente digitale. Per portarci al “Dopo la fotografia” come titola un interessante saggio di Fred Retchin edito da Einaudi.

Cosa c’è, secondo Retchin dopo la fotografia? Ancora la fotografia. Ma — e questa sarà la sua salvezza — una fotografia “ipertestuale”, che rompe gli argini rigidi del rettangolo per aprirsi in maniera pressoché illimitata a link e ibridazioni con altri media, arricchirsi di testi, immagini in movimento, suoni. Cogliere nuove e diverse opportunità di lettura del mondo per declinare una nuova grammatica dell’informazione.

Enrico Pinna

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