“On the sea and underground”: il Sulcis di Dario Coletti in mostra a Carbonia

Ci sono terre segnate dall’armonia dove paesaggio, natura e attività umane si muovono in direzioni concordi a formare una identità precisa, sintonica. Altre invece sono punto d’incontro di mondi contrastanti, apparentemente inconciliabili. Così il Sulcis-Iglesiente, territorio di contrasti e di universi che si fa fatica a pensare vicini.

Terra dove ci sono uomini che lavorano alla luce di un sole abbagliante e assordati dal ruggito del mare. Altri che si muovono nelle buie viscere della terra dove la profondità spegne ogni rumore.

Pescatori di tonnara e uomini di miniera, i due simbolici estremi di una regione piena di contraddizioni, sono i protagonisti della mostra fotografica “On the sea and underground” del fotografo Dario Coletti che sarà aperta sino al 22 marzo a Carbonia, nella Sala Argani della Grande Miniera di Serbariu.

Dario Coletti, è vicedirettore dell’Istituto Superiore di Fotografia di Roma, dove coordina il master annuale di fotogiornalismo. Le sue foto sono conservate presso biblioteche e musei nazionali; ha al suo attivo numerose pubblicazioni su temi antropologici e sociali, spesso dedicate alla Sardegna. Fra queste: “Ispantos” per Soter Editrice, “Gente di miniera” per i tipi di Poliedro, “Ammentos”, catalogo sulle feste popolari in Sardegna, “Terr’e miniera” (Iglesias 1994). Ha esposto in gallerie e musei internazionali come: l’Opera House del Cairo, la galleria Mole di Tokyo, Palazzo delle Esposizioni di Roma, il centro Santa Chiara di Trento.

Il lavoro di Coletti si indirizza con decisione verso la decodifica di due universi apparentemente distanti e, invece, sorprendentemente vicini. Mondi d’acqua e di terra accomunati dalla fatica, dal pericolo, da gesti quotidiani antichi e sempre uguali, figli di una cultura di lavoro millenaria, tramandata per generazioni.

Coletti si muove con disinvoltura in questi mondi arcaici, custodi di tradizioni che tendono a scomparire, per conformarsi a logiche di globalizzazione. Ne coglie i delicati equilibri e gli stridenti contrasti. I suoi soggetti, dai tratti induriti dal lavoro, raccontano storie antiche, sempre diverse e sempre uguali. Il suo è quasi un viaggio metaforico fra mondi romanzeschi in cui si mescolano “Moby Dick” e “Il figlio di Bakunin”, con tutta la distanza temporale che separa questi due personaggi.

«Questo lavoro — racconta il fotografo — nasce da una ventennale profonda sintonia con la Sardegna e con chi su questa terra lavora. In loro ritrovo i miti arcaici più autentici e antichi e un senso di profonda assonanza. Lo spunto per questa ricerca nasce da una casualità. Frugando negli archivi della IGEA ho trovato due notizie. Molti anni fa, in una miniera del Sulcis, undici minatori sono morti annegati a causa di un allagamento. Una morte da marinai. Anni dopo dieci marinai sono morti, come in genere muoiono i minatori, schiacciati dal minerale che la nave trasportava nella stiva. Questo paradossale incrocio di destini mi ha spinto ad approfondire le due realtà, sicuro di trovare una comune chiave di lettura e, alzando lo sguardo, le ragioni di un’Isola piena di straordinarie contraddizioni, capaci di far vacillare il senso dell’identità dei suoi abitanti».

Con questa indagine visuale Coletti cerca di riannodare i fili di una appartenenza che spesso si attenua, per indagare sentimenti anch’essi contrastanti: fierezza e disperazione di un popolo che vede la sua identità minacciata e la sua dignità ferita. Ma che non si piega al destino.

Come recita il murale di una delle foto più emblematiche della mostra: “Tagliarono i nostri rami, tagliarono i nostri alberi, ma non riuscirono a tagliare le nostre radici.

Enrico Pinna

 

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