Istìga Track, al Lem di Sassari i paesaggi nascosti di Fausto Urru

Quinto ed ultimo appuntamento di IstìgaTrack, la rassegna organizzata dall’Associazione culturale Su Palatu_Fotografia & Vigne Surrau e curata da Salvatore Ligios e Sonia Borsato. Sino al 13 aprile, alla Galleria LEM di Sassari, la mostra “Paesaggi_In limine“ di Fausto Urru.

Come suggerisce il titolo è il paesaggio il tema sviluppato dal fotografo, nato a Oristano, fratello di quella Rossella Urru, ostaggio tra l’ottobre del 2011 e il luglio del 2012, di un gruppo di terroristi nel Nord del Mali. La carriera di Fausto, a partire dagli studi universitari, prende, ben presto, strade che portano lontano dalla sua terra, sino a Parigi dove tuttora vive. Ma è stata una partenza con tanti ritorni in una terra che segna indelebilmente la tua appartenenza.

I paesaggi di Fausto Urru sono lontani da stereotipi estetizzanti che, soprattutto in Sardegna, prendono facilmente la mano. «A ben osservare — scrive Salvatore Ligios nella presentazione della mostra — negli scatti fotografici di Urru il paesaggio non viene rivelato ma, come un sottile gioco ossimorico, nascosto. Impedendo allo sguardo dello spettatore di distendersi secondo i canoni della percezione estetico-pittorica con i quali solitamente ci relazioniamo con lo spazio.
La persistenza dello sguardo predilige “messe in forma” di segni ambigui e tracce marginali dove la luce fa da controcampo alle zone d’ombra che occupano la quasi totalità della superficie del fotogramma ».

Un paesaggio fatto di segni, tracce, istìgas che guidano l’osservatore alla ricerca del fatidico “Punctum” di Rolad Barthes che disveli i significati sottostanti che fatalmente portano, attraverso l’uso di una luce radente e quasi crepuscolare, ai segni dell’uomo.

C’è molta Sardegna in questi paesaggi incompiuti, scabri e solitari. «Durante le mie peregrinazioni in limine — racconta l’autore — mi sembrava di vivere una doppia
temporalità, una strana compresenza. Come se d’un tratto mi trovassi a vivere gli ultimi momenti di un passato sul punto di essere inghiottito irrimediabilmente da fiotti di modernità liquida (sia colate di cemento che fuga nella smaterializzazione), ed allo stesso tempo percepissi le avvisaglie di quello che sarà. C’era sempre una doppia eco, un tacito grido di morte ed un vagito».

“In limine” è solo una prima tappa di un viaggio di esplorazione e scoperta (o ri-scoperta) di radici salde e di paesaggi che non raccontano ma pongono domande. Scorci interiori che mettono in relazione frammenti di passato e abbozzi di futuro per ricucire una identità che passa, necessariamente attraverso la decodifica e la rielaborazione di tracce e di segni ambigui e contraddittori.

Enrico Pinna

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