Il luogo comune

Cosa vi viene in mente se pronuncio la parola “immigrato”? Vediamo alcune possibili risposte: barcone, povertà, tarocco. O anche semaforo, parcheggio, fazzoletti di carta. L’associazione mentale con il luogo comune è immediata. Complici anche troppi reportage fotografici in genere coerenti con questo stereotipo. Noi rappresentiamo, quasi sempre, queste persone non nella loro dignità ma in quella che Uliano Lucas, maestro di vita e di fotografia, sintetizza con la parola “miserabilità”.

Ecco perché, vedendo il lavoro della fotografa cagliaritana Rosi Giua sui Senegalesi ho ravvisato spunti interessanti per spezzare la catena dello stereotipo che spesso affligge la nostra visione degli altri. Rosi è andata in Senegal, sul posto, come un giornalista da manuale, e ha portato con sé immagini di normalità e di dignità che sono l’aspetto veramente originale di questo reportage.

Immagini scattate all’università di Dakar, una dei più grandi e prestigiosi atenei africani, dove studenti normali studiano al computer, assistono alle lezioni, vivono come tanti altri studenti del mondo. Certo con pochi lussi in una terra che il luogo comune vuole tribale e “miserabile” ma che si mostra, per molti versi, sorprendentemente “normale”.

La fotografa racconta come è nato questo lavoro: «Qualche anno fa mi sono interessata alle storie degli immigrati senegalesi che abitano numerosi in Sardegna. Ho pensato che raccontare del loro paese, delle loro origini, delle famiglie rimaste lì poteva farmi capire meglio chi fossero. Così nel maggio 2011 mi sono recata in Senegal, a Dakar, e sono andata a trovare i familiari di Aminata, bella ragazza senegalese laureata in scienze politiche in Francia residente a Cagliari; poi a Luga presso la famiglia del mio amico Alessandro, che vende i fazzoletti a Porta Cristina, e da diversi anni risiede in città. Ho voluto trasmettere una visione diversa, positiva, normale e contemporanea di questo paese e dei suoi giovani».

Il Reportage è stato esposto in Ungheria in una mostra collettiva organizzata, alcuni mesi fa, dal fotografo Attila Kleb, insieme a lavori di Uliano Lucas, Salvatore Ligios e Fabio Loi.

Andare controcorrente, abbandonare la sicurezza del luogo comune, è un piacere che pochi si concedono. Farlo denota sicuramente la capacità di avere una mente libera e curiosa. Diceva Fellini, maestro di libertà mentale e di visioni originali: “Il linguaggio diverso è una diversa visione della vita”. Di cui oggi c’è un grande bisogno.

Enrico Pinna

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