I genitori dei ragazzi autistici: la vita come un’altalena che non si ferma mai

Ciao a tutti,
Oggi vorrei presentare un argomento a cui spesso i media non riconoscono il giusto peso: l’autismo. Voglio raccontarlo dando voce a quelle persone che lo vivono quotidianamente, genitori che ho conosciuto durante la mia esperienza di tirocinio presso una scuola materna.  Di colpo,  mi sono ritrovata catapultata dentro un mondo in cui l’approccio educativo ha ceduto talvolta spazio al piano emotivo. E voglio infatti puntare la lente d’ingrandimento su  questo aspetto: il lato emotivo che avvolge la quotidianità delle persone che vivono a contatto con l’autismo, quelle madri che ho conosciuto durante il mio percorso, persone che questo mondo lo vivono sulla loro pelle giorno dopo giorno.

L’idea di dare spazio alle loro testimonianze – cioè di far conoscere il parere e anche il disappunto di persone che vivono difficoltà sconosciute alla maggior parte della gente – mi è venuta qualche giorno fa,   quando ho ricevuto il messaggio di una mamma “speciale “, Valentina, (nome di fantasia) .

“Sono V – diceva questo messaggio –  Mamma di due bimbi entrambi con diagnosi di disturbi dello spettro autistico. Marco, 11 anni,  e Fabia,  6. Entrambi particolari, diversi, ognuno con le proprie difficoltà e le proprie risorse. Sono entrata nel mondo dell’autismo sette anni fa. Quando è arrivata la diagnosi di Marco. Era un bambino diverso dai suoi coetanei, e manifestava comportamenti ripetitivi a tratti ossessivi, sembrava non volesse mai guardarmi in faccia. Quando lo chiamavo per nome non si girava, sembrava sordo, ma soprattutto non sapeva comunicare né con il linguaggio, che non aveva sviluppato, né con i gesti. A quattro anni la diagnosi: disturbo pervasivo dello sviluppo. Andai via da quella asettica stanza d’ospedale come un fantoccio, in trance, non avevo capito cosa mi stava accadendo. Pervasivo cosa? Ero smarrita. Quella domanda mi tornava alla mente senza sosta. Ricevere la diagnosi è un vero colpo. Significa abbandonare l’idea di un figlio per accoglierne uno nuovo, per molti versi sconosciuto e preoccuparsi molto per il suo futuro. E’ un’ elaborazione, l’accettare la nuova condizione sconosciuta, che non puoi immaginare quante risorse ti consumerà. Ma devi fare in fretta e impari presto quanto il tempo è prezioso: la qualità del recupero è legata alla precocità dell’intervento. Mentre accadeva tutto questo, è arrivata Fabia. Sapevamo già che avrebbe avuto dei problemi, ma non sapevamo di quale entità. Una nascita rocambolesca, lontano da casa, con lunghi periodi in terapia intensiva neonatale. Contemporaneamente M. iniziava il suo percorso di recupero e noi cominciavamo a vedere i suoi importanti miglioramenti. La diagnosi di F. è arrivata presto, quando aveva solo 16 mesi,   un po’ per l’esperienza del fratello maggiore che ci aveva reso più attenti ai campanelli di allarme, un po’ per la sua “partenza ” in salita che ci sollecitato a una diagnosi precoce. La sua è una forma di autismo lieve e, grazie alla riabilitazione, mostra delle abilità più sviluppate rispetto al fratello”.

Questa la storia. Ma voglio segnalare un passaggio del racconto di V. che mi ha colpito  in particolare: “Vivere l’autismo è stare sull’altalena senza mai poter scendere… Tanti passi avanti tante soddisfazioni e talvolta grandi o piccoli balzi indietro, difficoltà che scoraggiano e fanno vivere grandi momenti di sconforto”.

Chiudo accennando al fatto che non si sa quanto incida la presa in carico precoce per un recupero ottimale, ma ciò che è certo è che entrare in un mondo di “diversità” può sviluppare una rete di contatti, di scambi con chi vive le medesime problematiche, che è di grande aiuto  per consentire a questi bambini di superare gli ostacoli della vita quotidiana. Ostacoli  creati, spesso, solo dalle barriere culturali.

Ilaria

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