Da quest’altra parte del mare/3. Gianfranco Cabiddu

Cosa volevo fare da grande? Sono nato a Cagliari, città di mare, e ci ho vissuto fino ai 22 anni. In una città di mare tutte le strade portano al mare, e per un cagliaritano il mare si vive tutto l’anno. Così con il mare si fanno i conti, e con le sue infinite possibilità di rotte e sogni è sempre stato un orizzonte familiare e conosciuto.

Ma i miei genitori e parenti sono tutti di Sedilo, quindi fin dall’infanzia ho vissuto un doppio imprinting, da un lato il mare dall’altro i cavalli, l’Ardia e la cultura barbaricina: il west. Nell’adolescenza ogni settimana, e durante le regate primaverili quasi ogni giorno, uscivo in mare ad allenarmi con il mio amico Giorgio, su una veloce barchetta 4,70. Lo sciabordio e lo scricchiolare del legno è rumore familiare e ancestrale. In quegli anni ho conosciuto Conrad, che ancora oggi mi accompagna – poi insieme a Mutis, Colloane, Melville, Poe e tanti altri – e il sapore del viaggio.

Allora, e forse anche oggi, avrei voluto andare per mare, fare il marinaio. Poi il caso e le sirene hanno fatto diversamente; ma solo apparentemente, chè forse il senso profondo dell’andare per mare è sempre lo stesso.

La forza di un’isola sono le infinite rotte che ti regala, in ogni direzione, se hai sempre in te vivo il coraggio di salpare, di cercare; da quando solcavo il golfo degli Angeli sul 4,70 ad oggi il mare l’ho attraversato spesso. E col tempo, nel ritornare in porto, impari a non aspettarti nulla -che il mare isola e protegge dal mondo chi non vuole mai partire, a mischiarsi, vedere e conoscere- allora ritornare è gratitudine per il viaggio, da raccontare a chi vuol sentire, e presto, sempre più presto ripartire.

Gianfranco Cabiddu

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Voleva fare il marinaio, Gianfranco Cabiddu. Viaggiare come solo la gente di mare riesce a fare. Da grande è diventato regista e i suoi viaggi non hanno il rumore delle onde che si infrangono sulla chiglia ma il ticchettìo ritmico della macchina da presa. Il regista di “Disamistade” e di “Il figlio di Bakunin” ha scelto il porto di Cagliari come location per il suo ritratto. Il fotografo Marco Desogus ha scelto un campo lungo, una prospettiva ampia che inquadra il regista in posizione centrale, ma comprende tutti i simboli della città. La via Roma e il quartiere della Marina, protettivo punto di approdo per chi viene in Sardegna, antichi velieri e la nave della Tirrenia, per secoli uniche vie di uscita per chi va fuori da un mondo che, talvolta, diventa troppo stretto per chi ha il viaggio nell’anima.

Enrico Pinna

 

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