Chi Guarda: al Ghetto i volti di un’Asia dimenticata

Hanno viaggiato per sei mesi, attraversando Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Malesia, Singapore, Corea del sud e Giappone con ogni mezzo: piedi, aereo, barca, moto, bici, treno e mongolfiera. Un viaggio fuori dalle consuete rotte turistiche per Arianna Di Romano e Paolo Manca con l’intento di raccogliere le storie delle comunità più marginali e dimenticate di questo angolo di mondo per publicarle in un libro.

Le loro valigie, al ritorno, erano piene di storie ma anche di fotografie che, pur non essendo dei professionisti, costituiscono un interessante e pregevole diario di viaggio. Incoraggiati da autorevoli pareri, in attesa di pubblicare le storie, i due viaggiatori hanno esposto le fotografie, scegliendole nell’enorme massa di immagini riportate dal viaggio.

È nata così  La mostra “Chi Guarda – alla scoperta di un’Asia dimenticata”, inaugurata nel Centro comunale d’arte Il Ghetto di Cagliari l’11 febbraio, che sarà visitabile fino al 27 marzo. Attraverso cinquanta riproduzioni fotografiche di grande formato e altre trenta immagini più piccole, la mostra intende raccontare le storie dei personaggi di alcune piccole comunità, normalmente non raggiunte dalle rotte turistiche.

«Il filo conduttore del lavoro fotografico — sottolinea Paolo Manca — è stato lo sguardo. Da quello rubato a quello ricambiato. Uno sguardo sempre mediato da una vicinanza e da una condivisione sempre cercata con queste piccole comunità emarginate. Non abbiamo mai smesso di comunicare con le persone, anche quando è stato impossibile a causa della mancata conoscenza della lingua. Noi lo abbiamo fatto attraverso gli sguardi. Grazie alla durata del viaggio e al lungo tempo dedicato alle persone, si è instaurato un rapporto di fiducia, alla base della concessione di una foto o del racconto di una storia personale da parte di soggetti solitamente ritrosi, spesso a causa dell’animismo in cui credono. Il loro sguardo, così diretto o schivo, dice a chi osserva mi fido di te.»

Il lavoro esposto, non essendo nato come progetto fotografico, è un pot-pourri di volti e di paesaggi umani non contestualizzati, uniti fra loro da brevissimi estratti di storie. Non un reportage di viaggio ma un viaggio attraverso l’uomo, con la metafora dello sguardo come estrema sintesi delle sue storie di vita. La cifra estetica del lavoro è volutamente caratterizzata da un bianco e nero fortemente contrastato e a tratti impastato, che enfatizza le atmosfere conferendo tensione ai ritratti (tanti) per tratteggiare le memorie private degli abitanti di queste comunità minacciate e farne racconto collettivo.

Attendiamo il libro che possa legare con fili più saldi storie ed immagini, per dare più spessore e senso compiuto a questo eccellente lavoro fotografico. Ma per ora godiamoci la mostra, Il resto, dicono gli autori, arriverà presto.

Enrico Pinna

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