Captivi: viaggio dentro le carceri di Pietro Basoccu

Viviamo in un paese dove da decenni la cura della dignità delle persone non è mai stata così trascurata. Un paese incapace di dare un futuro ai propri giovani e di garantire un presente dignitoso a troppi lavoratori sempre più spesso privati di diritti e di prospettive. Ostaggio di una classe politica tribale incapace di individuare il bene comune e di perseguirlo.

La crisi economica è un comodo alibi per una casta che non vuole trovare una strada diversa dal neoliberismo che rende i  ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri ed emarginati. Mentre altri paesi (guardate la Svezia) hanno riscoperto Keynes noi continuiamo a nutrirci delle fallimentari ricette di Ronald Regan.

In questo quadro fosco, dove l’ossessione per i guadagni prevale su ogni altra considerazione, i soldi spesi per le carceri appaiono a molti un vero e proprio spreco. E quello della situazione delle nostre galere è un problema troppo spesso taciuto, un argomento scomodo e scivoloso, con poco appeal. Ci vogliono fotografi coraggiosi per rischiare senza paura di essere impopolari.

Pietro Basoccu, medico pediatra di Villagrande Strisaili è un fotografo sensibile e attento, sempre impegnato su scomodi temi di denuncia sociale. In questo percorso si colloca il suo ultimo lavoro, Captivi, ottimamente curato da Salvatore Ligios, sarà in mostra dal 20 al 28 agosto presso la sede Caritas in via Mons. Virgilio a Tortolì. Alla mostra seguirà il catalogo edito da Soter editrice. 

Il lavoro di Basoccu è ambientato in un qualsiasi carcere di una qualsiasi regione di un’Italia mai così unita come su questo tema. L’autore nelle sue lunghe sedute fotografiche ha raccolto brevi interviste che sono specchio di una burocrazia ottusa e inutilmente punitiva. Eccone un esempio: “I detenuti in carcere — spiega Basoccu — per qualsiasi loro esigenza da comunicare all’amministrazione penitenziaria devono compilare un modulo chiamato domandina. Si fa la domandina per qualsiasi cosa: per parlare con l’avvocato, per ordinare libri in biblioteca, per l’acquisto di vestiario, di detersivi, di alimenti non previsti nella spesa ordinaria. Senza domandina non si può avere nulla”.

E’ una burocrazia illogica — dice un detenuto —  demotivante che rappresenta il nulla. Un vero disprezzo alla mia dignità in quanto essere umano. Umiliante, angosciante, provocatoria procedura che mi porta ad indurire l’anima anziché rieducarla. Fare la domandina per ogni cosa, anche per la più ovvia esigenza… Giornate trascorse nell’attesa della rispostina”.

La sintassi fotografica di Pietro Basoccu è asciutta ed essenziale, il suo obiettivo è una lama affilata che scava in profondità mettendo a nudo una condizione umiliata dal sovraffollamento e da una burocrazia che appare a volte gratuita. Le sue figure retoriche sono immediate, comprensibili, trasparenti, il suo racconto è intenso e mai scontato, la sua voce suona potente. Sbarre, catenacci, sagome sui muri sono metafora di una condizione sospesa, di vite interrotte, di uomini ombra.

Captivi è un viaggio in un mondo parallelo dove la sofferenza e la rabbia si trasformano  troppo spesso in depressione e voglia di ribellione, anziché in percorsi di riscatto sociale. Un mondo — scrive il vescovo della Diocesi di Lanusei, che ha patrocinato la mostra — rispetto a cui “tutti ci sentiamo moralmente superiori. Che c’entriamo noi con chi ha sbagliato di brutto? Non vogliamo avere nulla a che fare con loro. La nostra sensibilità non vede facilmente abbinabili lo sconto della pena e la misericordia, e non sembriamo molto inclini a coniugarle”.

E se misericordia è un termine eminentemente religioso il suo sinonimo, in uno stato laico, è umanità. Per tutti valgono ancora le parole di Voltaire: “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”.

Enrico Pinna

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