Sorso, pogrom anti-rom su Facebook. Storia di una “istigazione all’odio”

Alcuni proponevano l’uso del lanciafiamme. Altri, tra un post di Salvini e un altro, pensavano di organizzare una spedizione punitiva per risolvere il “problema”. Un vero e proprio pogrom telematico. Organizzato, pubblicato e condiviso tra i mille commenti di una pagina Facebook creata contro l’insediamento di una famiglia rom a Sorso. Commenti che non sono sfuggiti all’attenzione degli inquirenti: circa 70 persone – tutte già identificate – rischiano ora un procedimento penale del Tribunale di Sassari per istigazione all’odio razziale e alla violenza.

Dietro questa ondata di odio non c’è nessun fatto di cronaca. Nessun incidente stradale causato da stranieri, nessun particolare episodio di criminalità. E la storia che ha fatto scaturire questi commenti al vetriolo è una storia come tante altre, persino banale, non ambientata a Tor di Quinto o in un’altra zona della periferia romana, ma in una tranquilla cittadina di 14mila abitanti alle porte di Sassari.

Ecco i fatti. A marzo una famiglia rom giunta da Alghero e composta da padre, madre e otto bambini sceglie di acquistare un terreno a pochi chilometri dal centro di Sorso dove andare a vivere. Ma una volta arrivati, i vicini iniziano a lamentarsi per la loro presenza. A quel punto qualcuno pensa di trasferire la protesta sul web, con il gruppo “No all’accampagnamento degli zingari a Sorso“. Gruppo ancora aperto e visibile a tutti (1300 utenti). E’ qui che prende forma il “commentificio”, un mix di battutaccie e allarmismo dove la frase più gettonata è “fuori dalla palle”. Solo parole? O minacce concrete? Lo dovranno stabilire i magistrati. Sta di fatto che tra i commenti c’era anche chi suggeriva: “Non scriviamo qui, organizziamoci in privato”. Organizziamoci per cosa?, verrebbe da chiedersi.

In ogni caso, la polemica ha avuto vita breve: il Comune di Sorso, dopo un controllo di tipo sanitario, non ha concesso la residenza e la famiglia è tornata ad Alghero minacciando un ricorso al Tar contro il Comune e avvalendosi di un avvocato per tutelarsi dagli insulti razzisti.

Il sindaco di Sorso, Giuseppe Morghen, all’epoca dei fatti ha immediatamento preso le distanze dagli insulti sul web, segnalando il fatto all’autorità giudiziaria. L’amministrazione comunale era il secondo bersaglio della campagna su Facebook in quanto ritenuta responsabile di voler lucrare sulla costruzione di un presunto campo nomadi. “Una vicenda allucinante – commenta oggi il primo cittadino – che ci ha impressionato per la rapidità con cui possono essere diffuse parole gravi e notizie false. Io non ho un profilo Facebook proprio per questo motivo: forse sono all’antica, ma non mi ha mai convinto questa possibilità di commentare le cose in così poco tempo”.

Il punto su cui il sindaco preferisce esprimersi non è tanto l’aspetto penale. “Le eventuali responsabilità vanno accertate sempre a livello singolo e mai comunitario”. Morghen punta il dito contro il potere di mistificazione della realtà. Pur non utilizzando Facebook, il sindaco porta un esempio molto chiaro. “Ricordo bene che in quel gruppo qualcuno ha pubblicato una foto dicendo che il Comune stava recintando un’area per creare un campo nomadi. In realtà quella nella foto era una recinzione di un terreno di proprietà dello Iacp, quindi si trattava di un intervento legato all’edilizia popolare. Ecco, mi spaventa questa capacità di credere a qualsiasi persona pubblichi qualcosa su Facebook”.

In conclusione il sindaco spiega i motivi dell’allontanamento dei rom, su cui non sono mancate le polemiche. “Sorso non è mai stata una città razzista, abbiamo sempre accolto le persone in difficoltà e continueremo a farlo. Quella famiglia è tornata ad Alghero perché in quell’area non c’erano le condizioni igienico-sanitarie per concedere la residenza, non certo perché ci siamo fatti condizionare da questa campagna velenosa sul web”.

I rom a Sorso dunque non ci sono più, ma rimangono le ripercussioni per i 70 autori dei post. Naturalmente, i commenti più forti sono stati cancellati non appena si è sparsa la voce di una possibile denuncia. Così, col passare dei mesi questi “leoni da tastiera” pensavano di aver fatto perdere le tracce di quanto scritto. Non è andata così, perché sul web è possibile tenere le tracce di qualsiasi cosa. Basta individuare gli indirizzi ip e collegare poi facilmente i profili su Facebook con nomi e cognomi di persone reali.

Ora il dossier, secondo quanto riportato nei giorni scorsi da l’Unione Sarda, è su un tavolo della Procura della Repubblica di Sassari, che potrebbe presto decidere di aprire un fascicolo sull’intera vicenda. Sarebbe uno dei primi casi in Italia in cui così tante persone vengano chiamate a rispondere per quanto scritto. Un segnale dei tempi che cambiano.

Pochi giorni fa la redazione internet del quotidiano La Stampa ha deciso di eliminare i commenti razzisti dalle proprie pagine Facebook. “I post razzisti verranno rimossi e agli utenti verrà impedito di commentare nuovamente”, hanno avvertito i giornalisti della storica testata di Torino. Una forte presa di posizione contro il fenomeno battezzato come “hate speech”, sul quale si stanno interrogando i mezzi di comunicazione in tutta Europa.

Michele Spanu
Twitter @MicheleSpanu84

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