La sorella di Cristina Berardi su Fb: “In Sardegna oblio su vittime sequestri”

A 30 anni dal sequestro di Cristina Berardi, la giovane nuorese all’epoca di 26 anni, la sorella Alessandra posta sul suo profilo Facebook una lettera di ricordo, ma anche di denuncia per le troppe vittime dimenticate di quella stagione di rapimenti in Sardegna. Un post che sui social raccoglie consensi, con centinaia di condivisioni.

Il post

“In Sardegna – scrive la donna – neanche una strada intitolata alle ‘Vittime dei sequestri di persona’ (i sequestrati, le loro famiglie, la comunità). Non una lapide con i nomi delle persone sequestrate e mai ritornate, morte per gli stenti o uccise durante la prigionia. Dovremmo invece ricordare una per una tutte quelle persone, vittime innocenti di una pratica terribile che, se scandalizzava le coscienze vigili, veniva spesso presa come un’usanza locale inestirpabile e non proprio deprecabile da menti confuse e confusamente ideologizzate”.

La storia della famiglia

Alessandra Berardi ricorda i momenti vissuti dalla sua famiglia in quella tragica circostanza, quando Cristina – era il 20 giugno 1987 – figlia di un imprenditore edile e presidente degli industriali, fu rapita mentre rientrava a Nuoro, dove viveva, da Tertenia, dove lavorava come insegnante. Fu liberata dopo un conflitto a fuoco nelle campagne di Talana, il 19 ottobre dello stesso anno. La sorella racconta i momenti del sequestro: “La voce strozzata di mia madre, al telefono, che diceva qualcosa di assurdo: ‘Hanno preso Cristina’. E io che non capivo, mi rifiutavo di capire. Stamattina, trent’anni esatti dal sequestro di nostra sorella Cristina, tenuta dai banditi per quattro mesi tra le forre dell’Ogliastra, liberata dall’eroica Squadra Catturandi della Polizia di Stato. Sequestro seguito da attentati e da altre disgrazie, paure e malattie per la mia famiglia, e ovviamente dai segni di quell’esperienza per Cristina”. “Dei colpevoli – rimarca Alessandra – solo il telefonista fu catturato e ha scontato la pena. Per il resto, fascicolo di indagine riaperto nel 1998, ricerche tardive, esame del Dna inattendibile per pronta distruzione della maggior parte dei reperti da parte di un giudice, cattiva conservazione dei reperti analizzati. L’ideatore e basista-colletto-bianco e i latitanti – sua manovalanza criminale – individuati, anche grazie alla perspicacia e alla tenacia di nostro padre: ma nulla di fatto a loro carico, per mancanza di prove, tanti anni dopo. Resta la felicità che lei sia tornata e che tante persone buone ci siano state vicine”.

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