“Togliamo dall’armadio il nostro caschetto e andiamo a far sentire ai signori della politica tutta la nostra rabbia”. E’ l’urlo che viene lanciato, a più riprese e da più parti, nella sala convegni, stracolma, della Miniera di Serbariu a Carbonia dagli operai Alcoa. L’appuntamento è alle 8 di martedì mattina davanti ai cancelli della fabbrica di alluminio di Portovesme, ferma ormai da più di due anni. Da li il corteo di auto si dirigerà verso il palazzo della Regione dove i rappresentanti dei lavoratori chiederanno di incontrare il presidente Francesco Pigliaru. Al governatore vogliono chiedere, in particolare, perché a tutt’oggi l’accordo di vendita dello stabilimento tra Alcoa e Glencore, che da più parti politiche viene dato per certo, non viene ancora ufficializzato. Eppure Rino Barca, segretario territoriale della FimCisl, si spinge oltre: “Tra Alcoa e Glencore esiste già un pre-accordo. Quello che manca è l’avvallo della Comunità Europea sulle tariffe energetiche”. Ed è proprio sul terreno delle tariffe energetiche che si gioca la partita della vendita dello stabilimento. Ma c’è anche il problema delle bonifiche dei terreni e delle falde acquifere ancora da perfezionare. Per quanto da parte della multinazionale americana non ci sono posizioni pregiudiziali. Il tempo a disposizione però è ormai terminato: se entro giugno non verrà perfezionata la vendita, l’Alcoa inizierà con lo smantellamento degli impianti. Nel frattempo pero’ il tempo passa, gli operai hanno terminato gli ammortizzatori sociali, in particolare quelli dell’indotto Alcoa. Per loro si sono aperte le porte della disperazione. Nel Sulcis e’ l’unica cosa che abbonda.
Carlo Martinelli