Zanele Muholi e Lindeka Qampi al MAN: la mostra e il workshop

“Ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare”. Sono le parole con cui Nelson Mandela conclude il suo libro “Lungo cammino verso la libertà”. Dopo aver scalato l’apartheid il Sudafrica mostra tante altre “segregazioni” tante altre montagne che rendono difficile il cammino il futuro di giustizia sognato dal leader africano.

La fine delle leggi razziali ha lasciato invariati i rapporti e le disuguaglianze sociali: i bianchi sono sempre ricchi e i neri sono rimasti poveri, sempre esclusi, non più segregati dalla legge ma sempre emarginati dalla miseria. Povere fra i poveri,le donne che, soprattutto nelle zone rurali del paese, ne sopportano i pesi più gravosi. E ancora i conflitti etnici e tutti i mali antichi di una società in faticoso cammino verso il proprio futuro.

Poi ci sono le segregazioni più subdole che in questo paese assumono connotati particolarmente odiosi. L’omofobia è un male universale che in Sudafrica si traduce in una ininterrotta serie di violenze “correttive” non sempre perseguite, pur in presenza di una Costituzione tra le più women friendly mai elaborate a livello internazionale.

Questa lunga premessa è necessaria per inquadrare il lavoro delle fotografe sudafricane Zanele Muholi e Lindeka Qampi che al MAN di Nuoro presentano AZOLA / Somnyama Ngonyama, doppia mostra personale che pone l’accento sulla situazione delle donne nel Sudafrica di oggi. La mostra, a cura di Emanuela Falqui in collaborazione con Erik Chevalier e Laura Farneti,  frutto di una selezione delle produzioni di Zanele Muholi e Lindeka Qampi, incentrate sull’attivismo visuale e la politica dell’autorappresentazione, è stata preceduta da una residenza d’artista che si è svolta in Sardegna tra fine novembre e i primi di dicembre. La mostra sarà al MAN di Nuoro sino al 14 febbraio 2016.

Zanele Muholi ha dedicato quasi un decennio della sua vita alla documentazione dell’identità visiva delle lesbiche e transgender del Sudafrica, con la creazione di un corpo voluminoso di ritratti, “Faces & Phases”, esposti anche a Cagliari (cliccare qui)  con l’intenzione dichiarata di voler dare vita ad una Mappa, ad una storia visuale delle lesbiche nere in Sud Africa dopo l’apartheid, per dare voce alla comunità LGBTQI attraverso un archivio nel quale potersi riconoscere e ritrovare la propria dignità.

“Il suo lavoro — scrive Emanuela Falqui nella presentazione — prosegue in questa direzione con una nuova serie di autoritratti in bianco e nero, Somnyama Ngonyama, che significa “Ave, Leonessa nera”, in cui il suo corpo narrante assume in maniera provocatoria gli stereotipi di razza, di classe, di genere, interpretando differenti archetipi femminili. Ancora una volta rielabora il suo vissuto personale, le sue origini e le traspone in una dimensione collettiva e di riscatto con un linguaggio estetizzante ma contraddittorio, per esempio costruendo il suo personaggio con un abbigliamento di fortuna fatto di oggetti domestici ornamentali, o enfatizzando il colore della sua pelle per riflettere sul luogo comune della razza”.

Lindeka Qampi ha conosciuto Zanele Muholi nel 2006 presso il collettivo Iliso Labantu, di cui fa parte: un gruppo di fotografi delle township che documentano la vita urbana contemporanea. L’artista punta il suo obiettivo sui gesti quotidiani che scandiscono la vita difficile delle comunità nere. Azola, dal nome di una delle sue figlie, è il suo ultimo lavoro che rielabora un trauma universale attraverso una vicenda personale, lo stupro, spesso accompagnata dall’omertà, dalla rimozione e la solitudine. In Azola c’è la rappresentazione, attraverso la sua vicenda, di un mondo femminile che insegue una vita complicata. “Il suo linguaggio onirico — nota la curatrice — ricerca le sue radici nel subconscio, in un mondo atavico, per ritrovare le viscere della terra e sanare una ferita inguaribile con un grido liberatorio, per rompere definitivamente il suo silenzio ma anche quello di molte altre donne”.

Nel corso della loro residenza d’artista le due fotografe hanno realizzato diverse foto in varie località dell’isola, sempre coerenti con le tematiche affrontate e tenuto un apprezzato Workshop (qui i partecipanti) di cui mostriamo alcuni scatti.

Fra mostra e Workshop le due artiste hanno animato il mondo della fotografia isolana portando una straordinaria lezione di impegno su temi importanti come l’attivismo visuale, l’archivio di una comunità, il racconto di famiglia, l’autoritratto, fino all’era digitale del selfie (self-identification).

Zanele Muholi presenta un’orgogliosa autorappresentazione, fatta di autoritratti realizzati con un bianco e nero sontuoso, ricco di una cura del dettaglio e di una nitidezza che non è linguaggio estetizzante ma cifra formale fondamentale per la definizione di contenuti precisi e coerenti. La realtà viene caricata di segni contraddittori ma in cui sono riconoscibili i nitidi simboli indicatori di un percorso di sofferenza personale che diventa, attraverso la fotografia, storia collettiva.

Il lavoro di Lindeka Qampi, è il racconto simbolico di un doloroso vissuto privato che si fa sofferenza collettiva, in una rappresentazione nitida ed evocativa di un mondo femminile senza voce sulle cui spalle ricade un gravoso peso sociale. Un percorso che, attraverso l’autorappresentazione sua e dei figli (il sé bambino), simboleggia il passato ed evoca un percorso di liberazione e di guarigione universale. Un percorso declinato con luce piena e colori intensi che accompagnano un simbolico ed accidentato percorso di riscatto che è la precisa metafora di quelle montagne che Mandela vedeva frapporsi nel cammino  del suo Paese.

Enrico Pinna

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