Al Lazzaretto l’apartheid omofobico di Zanele Muholi

«Solo i poeti sanno veramente parlare della libertà, dolcissima e inebriante: il dire senza steccati (né religioni) è sempre una sfida all’indicibile…Il fascino estraniato e stregato della Fotografia rimanda alla parola mai detta, all’infelicità mascherata, alla violenza esasperante della quotidianità mai affrontata». Sono parole di Pino Bertelli, lucido e visionario filosofo della fotografia.

Ogni giorno facciamo i conti con immagini che mostrano la sofferenza in tutta la sua crudezza, che alzano sempre di più il tiro per suscitare rabbia, denunciare situazioni in maniera spesso gratuitamente spettacolare. Cosa più difficile è scatenare le stesse emozioni usando l’arma della dolcezza, raccontare storie sommessamente, denunciare senza provocare, con ferma dolcezza.

Ecco perché ritorno sul lavoro della fotografa sudafricana Zanele Muholi. La sua mostra Zanele Muholi visual artivist, curata da Emanuela Falqui e Stefano Fois è al Lazzaretto Cagliari sino al 30 giugno, arricchita ogni giovedì da eventi collaterali. Zanele ha già esposto a Cagliari lo scorso aprile in una fugace due giorni d’arte organizzato da “Funivie Veloci”. La mostra, già annunciata da Sardinia Post, è l’occasione per chi avesse perso la precedente, di vedere l’opera di una delle artiste più interessanti del panorama contemporaneo.

Il lavoro di Zanele Muholi è incentrato sulla creazione di una “Mappa … una storia visuale delle lesbiche nere in Sud Africa dopo l’apartheid” per rivendicare una realtà negata dalla storia ufficiale, per denunciare le morti in seguito ai crimini d’odio, la pratica dello stupro correttivo come “cura” all’omosessualità e il problema della prevenzione all’Aids.

Le serie di fotografie “Faces & Phases” e “Being”, in mostra a Cagliari, danno vita all’identità della comunità nera di lesbiche di diverse parti del mondo.
Con un approccio etnografico e uno stile che rifugge facili effetti o provocazioni visive, l’artista ritrae volti, corpi e relazioni d’amore immerse nella vita quotidiana, svelando un nuovo e intimo vocabolario visivo, creando un vero e proprio archivio come luogo della memoria in cui riconoscersi e identificarsi.

«Utilizzando i miei lavori di fotografia — scrive Zanele — esploro il modo in cui l’attivismo visuale possa essere impiegato dalle donne emarginate a livello sociale, culturale ed economico come luogo di resistenza, non solo per restituire lo sguardo dei nostri colonizzatori, ma anche per sviluppare ciò che Bell Hooks ha chiamato lo “sguardo critico” sui costrutti eteropatriarcali dei corpi e della sessualità delle donne nere».

«Il nome del mio progetto — continua l’artista — è stato scelto per due motivi: innanzitutto perché ancora non abbiamo una storia di questo tipo in forma di rappresentazione; in secondo luogo, perché, così come il disegno di una mappa ricca di strade, fiumi, città, catene montuose e valli, anche la nostra storia di lesbiche nere non è lineare, ma incrocia e interseca le nostre storie di razza, di genere, di sessualità, di classe e coloniali. L’obiettivo del progetto è interrogare la rappresentazione fotografica dell’identità all’interno del più ampio quadro di formazione delle identità in Sudafrica».

La mostra comprende tre lavori distinti: Faces & Phases (Facce e Fasi), una galleria di immagini che si propone di mostrare la comparsa dell’estetica lesbica nera sudafricana attraverso la tecnica del ritratto, soprattutto perché quasi non esistono immagini positive di loro negli archivi di donne e queer. Storicamente, i ritratti vengono utilizzati come prova, testimonianze indimenticabili per parenti e amici al momento della morte di qualcuno. Faces (Facce) esprime le persone, mentre Phases (Fasi) indica la transizione da un’esperienza e da uno stadio di sessualità o espressione di genere a un altro.

«La serie Being (Essere) — prosegue Zanele — continua a esplorare l’amore e l’intimità nelle nostre relazioni, nonostante il dolore e le lotte costanti che ci troviamo ad affrontare. I miei progetti riguardano le nostre storie, le nostre lotte e le nostre vite. Le partner e le amiche hanno acconsentito a partecipare a questo progetto, con la volontà di denudare ed esprimere l’amore reciproco. Ogni fotografia rappresenta una coppia in diverse situazioni della vita quotidiana e della routine».

Infine l’Archivio sonoro, raccontato dalla stessa autrice: «Nel 1996 sono stata vittima di un grave crimine d’odio, quando sono stata picchiata dalla madre della mia ex compagna. … Ho viaggiato nelle township e ho ascoltato e registrato oltre 50 casi. Ho condotto interviste e ho registrato le sopravvissute per rivelare le loro esperienze, la loro resistenza ed esistenza in quanto lesbiche nere nel paese, poiché credo sia importante dare un viso a ogni problema».

Una mostra che rappresenta problemi complessi e terribili con immagini d’amore tenere e delicate, denunciando con forza, con un linguaggio lontano da facili effetti shoccanti e da provocazioni gratuite. Zanele presenta un lavoro di classe che solo un’artista di grande sensibilità può rappresentare con questa forte e determinata dolcezza, raccontando un mondo tenuto ai margini (non solo in Sudafrica ma ovunque) che vive, gioisce, soffre rivendicando con forza l’identità e la normalità come il più semplice dei diritti.

Enrico Pinna

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