Viaggio nella Sardegna sconosciuta: Il mondo underground di Fabio Piccioni

Dopo due escursioni alla luce del sole il richiamo del sottosuolo è troppo forte per il nostro “esploratore” Fabio Piccioni che ci ripropone le immagini di antiche gallerie abbandonate, quei pozzi minerari che un tempo brulicavano di vita e di rumori e oggi sono il regno del silenzio.

«Le miniere — dice Fabio — hanno per me un fascino particolare. In superficie c’è la nostra storia. Il sottosuolo custodisce il nostro mondo arcaico. Quelle rughe scavate dall’uomo e dal tempo ci riportano simbolicamente alle nostre origini, alle ancestrali radici dei nostri avi.»

E proprio in questi giorni, all’Antico Palazzo di Città, Fabio Piccioni propone, nell’ambito della manifestazione  “Da Dove Sto Chiamando 2014 – festival di danza, musica, video, arti performative” un  video con 30 immagini di miniera, sottosuolo ma anche superficie. L’artista Mauro Khil ha creato la musica che accompagna le immagini, un background elettronico molto cupo che ottimamente si sposa con le sensazioni del sottosuolo. La mostra è aperta sino al 29 novembre.

Il viaggio “underground” di Fabio ci porta stavolta nelle miniere di Montevecchio, Ingurtosu e Monteponi, le più grandi miniere della Sardegna di cui Fabio coglie solo immagini di sottosuolo. Gallerie in rovina, luoghi abbandonati percorribili solo da abili ed attrezzati speleologi.

«Riportare su queste immagini, riportarle alla luce — sottolinea l’autore — è un modo per sottrarre questi luoghi all’oblio della memoria.» Ecco allora i colori e le venature della roccia che affiorano rivelandoci la loro composizione, i tunnel che fanno immaginare fascinosi (ed inquietanti) viaggi nelle viscere di una terra un tempo generosa e ricca di storia.

I complessi di Montevecchio e Ingurtosu sono stati fra i siti più grandi e produttivi della Sardegna. Un sottosuolo ricco di blenda e galena, minerali da cui si ricavano rispettivamente lo zinco e il piombo, con una vena che era lunga molti chilometri. La miniera di Montevecchio, come riporta il sito ufficiale “chiuse la propria attività nel 1991 dopo un’ultima occupazione dei pozzi da parte dei minatori che, dal pozzo Amsicora, rivendicavano ancora uno sviluppo alternativo. Ingurtosu, dopo secoli di alterne fortune, chiuse definitivamente nel 1968.

Monteponi è la grande miniera di Iglesias, con una produzione piombo-argentifera notevole per qualità e quantità. Anche questa miniera ha conosciuto momenti di grande produzione e momenti di crisi. Dopo gli anni dell’autarchia, in cui tutte le miniere producevano a pieno regime, una vigorosa ripresa negli anni del dopoguerra costituì una sorta di canto del cigno. un declino lento ed inarrestabile cominciò già dagli anni ‘60 fino alla chiusura, con non poche ricadute sociali nel territorio.

Questi pezzi di storia industriale della Sardegna ci hanno lasciato in eredità segni importanti: i villaggi minerari, con diversi splendidi esempi di architettura liberty, le laverie, i piccoli ospedali, gli spacci aziendali. Architetture e ruderi che hanno segnato il territorio e caratterizzato indelebilmente il paesaggio. In alcuni casi inghiottiti dalla natura rigogliosa, talvolta restituiti dall’uomo all’antico splendore per cercare di far ripartire l’orologio della storia e rendere questi luoghi nuovamente, anche se diversamente, produttivi.

Ci restano anche imponenti archivi documentali e fotografici che raccontano un mondo scomparso. Tasselli di storia che meritano un’ancora più attenta opera di restauro e valorizzazione.

E poi ci restano le gallerie. Paesaggi invisibili, luoghi dove il buio cambia la percezione, per trasformare la visita in una sorta di viaggio nell’inconscio, un viaggio di silenzi e di solitudine, un viaggio nel tempo che, là sotto, sembra invece essersi fermato per sempre.

Enrico Pinna

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