“La mia compagna, la sua bambina. E il mio non riuscire a essere padre…”

Ho trent’anni. Circa due anni fa ho incontrato quella che ora è la mia ragazza. Lei è di tre anni più grande di me ed ha una bambina che ora ha cinque anni. Da subito abbiamo riscontrato una forte intesa passata velocemente da incontri casuali ad una relazione vera e propria. Nelle fase iniziali della nostra relazione, cosi coinvolto da questa nuova passione non ho per nulla pensato a cosa potesse significare per un adulto avere una bimba da crescere. Letteralmente accecato dal nuovo amore, è stato solo dopo un paio di mesi, quando il coinvolgimento tra di noi si è stabilizzato, che ho iniziato a rendermi conto che la relazione così come la concepivo tra due ragazzi senza “responsabilità” non poteva essere valida in questo caso.

La bimba e le sue esigenze vengono come giusto prima di tutto, compreso il suo diritto di piangere e fare capricci. Le serate solo per noi sono rare, quando si esce tutti insieme non si può andare o fare quello che si vuole. Insomma tutte le rinunce che il mestiere di genitore comporta. L’amore per un figlio credo possa fare sopportare di tutto, ma nel mio caso non essendone il padre non riesco fisicamente ad andare al di la di un forte affetto, lo stesso che potrei provare con qualsiasi bambino mi ritrovassi a giocare. La bimba stessa non mi riserva di certo amore e rispetto di un padre ma ovviamente non è assolutamente colpa sua.

Molti sostengono che se la ami è automatico anche accettare i suoi figli, altrimenti non è amore. Non credo sia proprio così semplice. Ora sono passati quasi due anni in cui ho accumulato notevoli frustrazioni ed un ansia sempre crescente. Quello che non è cambiato è l’amore che provo per questa ragazza e quello che lei prova per me. Da tre mesi conviviamo e oltre a provare un’ansia sempre più acuta mi sento anche sempre più scontroso ed insofferente senza motivo. I miei goffi tentativi di partecipare all’educazione della piccola finiscono quasi sempre in situazioni di forte stress per me in quanto sua madre è molto protettiva nei suoi confronti ed io sento di non avere il diritto di sgridarla.

Il mio cervello con il messaggio dell’ansia sembra mi stia dicendo di andarmene, che questo non è il mio posto, che dovrei ricominciare da capo qualcosa di nuovo nonostante farà malissimo. Il mio cuore mi sta dicendo di restare perché ci amiamo. Finora quest’ultimo ha sempre più o meno vinto ma vacilla sempre di più. Faccio sempre più fatica ad essere il campo di battaglia di questa mia interna lotta sentimentale, io che ho sempre amato i viaggi e la libertà senza nessun compromesso per conto di terzi. La mia ragazza mi è sempre vicina e pronta ad aiutarmi e a volte ho una gran paura di perderla, di non trovare mai più un’anima come la sua. In alcuni momenti questo malessere mi divora, soprattutto quando intuisco che alcuni dei miei amici sono dispiaciuti per me e la mia situazione o quando miei genitori mi fanno capire (ma senza mai ostacolarmi) che non sono proprio fieri di questa mia relazione.

In passato ho già sofferto di episodi di ansia/depressione. In particolare dopo l’università trovai un lavoro che con il tempo mi andò sempre più stretto, volevo fare un’esperienza all’estero, ma avevo troppa paura di licenziarmi e partire. Arrivò l’ansia, fortissima, poi evolutasi in depressione. Ebbi però il coraggio di iniziare un percorso di psicoterapia che in poco più di un anno (anche grazie all’aiuto dei farmaci) mi aiutò a guardarmi dentro e trovare la mia strada, cosí partii e lentamente migliorai, trovai me stesso e quello che volevo fare, le nuove sfide facevano si che mi riconoscessi in me stesso.

Ora mi sento di nuovo nell’oscurità, ma qui c’è di mezzo anche un sentimento e non riesco a vederne l’uscita, che sia nell’accettare, che sia nell’andare. A volte mi pento di essermi fatto coinvolgere in questa relazione ma poi penso anche che il destino ci ha fatti conoscere e non avrebbe potuto andare diversamente.

Marco

Caro Marco ti dico subito che i temi che proponi sono tutt’altro che di facile soluzione e i dati che mi offri assai parziali. Nonostante questo “azzardo”, una serie di considerazioni che, spero, possano esserti utili per ri-trovare la strada perduta.

Innanzitutto sarebbe bene sapere se la bambina di cui parliamo ha un padre naturale vivente, se lo vede e se ha una relazione significativa con lui. Se questo è vero, quello che ti consiglio vivamente e di smettere di cercare di essere accettato come una figura “sostitutiva” – cosa che probabilmente non avverrà né ora né in futuro – e lavorare alacremente a ritagliarti invece un ruolo forse meno definibile ma non meno significativo di “compagno di mamma“ a cui si può voler bene ma a cui non si deve rispondere come ad un padre.

Bada, questa considerazione è valida anche se la bambina il padre non lo ha o non lo ha mai avuto fisicamente, perché comunque lo ha dentro di sé come figura di riferimento, anche costruita sulla sua assenza e comunque non sei tu. I bambini di genitori separati hanno dovuto misurarsi con una “lacerazione emotiva” che lascia “ferite” più o meno evidenti, che con il tempo e lo stabilizzarsi di equilibri relazionali nuovi finiscono per rimarginarsi, magari per cicatrizzare e diventare ricordi spiacevoli. Pur sempre hanno lasciato un segno e magari hanno bisogno di tanto in tanto di essere nuovamente curate o verso cui bisogna porre attenzione.

Ti sarà capitato di aver avuto nell’infanzia un piccolo/grande trauma fisico (una frattura o una lussazione …) e sentirlo come un ricordo spiacevole e lontano, però in certi giorni, con l’umido o altro stimolo, tornare a sentire un sordo dolore o anche una spiacevole sensazione che richiama l’attenzione. Fuor di metafora, per la bimba della tua compagna, probabilmente accade lo stesso ed ora che ancora ha cinque anni la “mancanza del padre” è un dolore vivo e presente in ogni momento della sua giornata: nel rapporto con i pari, quando sta a scuola, quando si festeggia la festa del papà, quando trascorre del tempo in casa di un’amichetta che ha un padre etc. Sono tutti momenti che le fanno “ri-sentire” il senso di un vuoto di una figura che, come quella materna, non si può né ignorare né sostituire.

Ciò non significa che la tua sia o debba essere una figura meno rilevante purché appunto costruita non in chiave sostitutiva (mi preoccupa che mi dica che “la bimba stessa non mi riserva di certo amore e rispetto di un padre”) come se ti aspettassi che prima o poi che ti riconosca come padre (magari che ti chiami papà …) ma come “un’aggiunta” alla sua vita, una persona importante che non tenta di “sostituire nessuno” ma è con chiarezza altro da papà. Questa chiarezza di ruolo, bada, deve essere non solo valida per te ma anche per la tua compagna e per la bambina.

Ti sto dicendo che devi con attenzione stare su un sottile filo di confine in cui tu dai una definizione di chi sei per mamma e per la bimba e non il “mondo esterno” che ti spinge verso quella di “padre sostitutivo” (immancabilmente di serie B) . Non è facile farlo ma sicuramente dovrebbe avere immediatamente l’effetto di de-responsabilizzarti: non devi “combattere” nessuna battaglia emotiva per sostituire nessuno né hai obblighi diretti nell’educazione della bimba.

D’altra parte amare una donna non significa accollarsi carichi emotivi che non sono tuoi: può essere generoso ma talvolta errato e “il buon samaritano” finisce per nuocere a tutti, compreso se stesso. Di questa nuova definizione ne dovresti parlare subito con la tua compagna che può a buon diritto aiutarti per ricavare un ruolo nuovo anche educativo ma solo dopo aver preso accordi molto dettagliati con lei e averli in linea generale condivisi con la bambina ( che si , è piccola, ma è minorenne, non minorata, per cui capisce molto di più di quanto non si creda…) che può riconoscere nella tua figura alcune funzioni e rifiutarne altre, così come ora è capace di farti sentire a disagio e rimandarti continuamente messaggi verbali e non verbali di distanza e squalifica o di vicinanza e affetto : starà a voi (e dico voi, non te!) aprire una contrattazione sulle regole condivise, prima fra adulti e popi, insieme con la bimba.

Per quanto concerne la tua personale condizione ti invito vivamente a riconsiderare la tua vita senza rinunce troppo radicali: sembra che tu ti veda o totalmente libero di partire, viaggiare e fare una vita da single o totalmente accasato in cui sei “marito e padre”. Forse puoi trovare una via di mezzo, senza sentirti egoista o poco amorevole verso la tua compagna e sua figlia, che d’altra parte probabilmente ti amano per ciò che sei e non per ciò che a loro “serve”, e coltivare anche le tue passioni partendo e tornando, con o senza la tua compagna e sua figlia.

Talvolta allontanarsi fisicamente non significa farlo con i sentimenti e vivere una vita piena e soddisfacente si riverbera anche nelle relazioni che si sentono rilevanti dando loro linfa e vitalità; al contrario star chiusi in una gabbia consuma e , come tu dici pian piano spegne anche i sentimenti più forti e vivi. Fammi sapere che decisioni prendi.

Antonello Soriga

Chi ha un caso da segnalare o un parere da chiedere scriva a psychiatrichelp@sardiniapost.it. Saranno ovviamente garantiti totale riservatezza e anonimato.

(Antonello Soriga, psicologo e psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale, svolge attività clinica in regime di libera professione a Cagliari. E’ stato professore a contratto presso la facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari e più volte membro della Commissione esami di Stato alla professione di Psicologo. Dal 2009 è Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Presiede il Centro di psicologia sistemica di Cagliari ed è responsabile scientifico dell’Associazione Sardegna Bielorussia. Tra le sue opere “L’altalena di Chernobyl”, Armando Editore, e alcune pubblicazioni accademiche).

 

Non le chiedo necessariamente un consiglio su cosa fare ma spero vivamente che una sua autorevole interpretazione da esterno della mia situazione possa farmi capire cose utili a ritrovare la serenità.

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