L’ANALISI. Riva, Zuncheddu e Pili, una faccenda davvero “delicata”

“E’ una vicenda delicata”, ha commentato il deputato del Pdl Mauro Pili. Senza aggiungere altro. Non gli si può dare torto: ha dichiarato in un atto ufficiale (quello di ingresso nel carcere) qualcosa di molto poco verosimile, e cioè che Sergio Zuncheddu e Gigi Riva sono suoi “assistenti”. Un’evidente assurdità. Ma perché è stata detta?

La risposta è semplice. Esiste una legge che – a tutela dei diritti dei detenuti – dà ai parlamentari un potere ispettivo sulla carceri. Un deputato (ma anche altre figure istituzionali) può, in qualunque momento, bussare alla porta di un carcere e chiedere di incontrare un detenuto. Può anche farsi accompagnare da qualcuno a condizione che, appunto, sia un suo “collaboratore”.

Per anni, attraverso un’ interpretazione molto estensiva del concetto di ‘collaboratore’ i giornalisti hanno potuto incontrare detenuti illustri o protagonisti di fatti di cronaca di grande rilievo. Era sufficiente che trovassero un qualunque parlamentare disponibile a esercitare il “diritto di ispezione”. Si trattava di uno scambio: uno scoop per il giornalista, la visibilità per il parlamentare.

Il 10 agosto del 2003, quindi quasi dieci anni fa, un parlamentare del Pdl (Sandro Dalmastro Delle Vedove) e una giornalista (Cristiana Lodi, di Libero) si presentarono al carcere Torino e assieme (deputato e “collaboratrice”) incontrarono Igor Marini, protagonista dello scandalo Telekom-Serbia, la notizia del momento. poi, secondo gli usi, Cristiana Lodi fece il suo scoop e il deputato incassò la sua visibilità. Solo che, quella volta, i giudici di Torino incriminarono entrambi per falso ideologico: il deputato per aver dichiarato che la giornalista era una sua ‘collaboratrice’, la seconda per avergli tenuto bordone.

La questione alla fine fu risolta addirittura dalla Corte Costituzionale. Perché il deputato sostenne che quella bugia rientrava nelle prerogative insindacabili di un parlamentare della Repubblica che (in base all’articolo 68, primo comma, della Costituzione non può essere chiamato a rispondere delle proprie opinioni).  L’interpretazione  fu anche accolta dalla Camera dei deputati che negò l’autorizzazione a procedere. I giudici di Torino, allora, sollevarono un ‘conflitto di attribuzione’ e fu per questo motivo che il caso arrivò sul tavolo della Consulta.

La Corte costituzionale diede alla fine ragione ai giudici di Torino. E quella decisione interruppe la pratica delle ‘visite guidate’ dei giornalisti ai detenuti celebri. Si stabilì che il ‘collaboratore’ doveva essere veramente tale. Il concetto, nel 2009, fu precisato in una circolare interpretativa riferita proprio alle visite dei parlamentari, Le ‘ragioni d’ufficio’ che possono giustificare la presenza di un accompagnatore, sussistono quando tra il parlamentare e la persona a seguito esiste un rapporto di collaborazione professionale stabile e continuativo.

Ecco perché Mauro Pili ha ragione quando definisce ‘delicata’ la questione. Le motivazioni nobili e umanitarie in questo campo non hanno rilievo: ci sono regole che tutti devono rispettare. E la possibilità che i suoi accompagnatori, cioè Gigi Riva e Sergio Zuncheddu, vengano indagati per la falsa dichiarazione resa all’ingresso del carcere è concreta. E un analogo rischio lo corre il personale del carcere che ha preso per vera la dichiarazione (difficile che gli agenti non abbiano riconosciuto Gigi Riva). Anche se, dall’altra parte, c’era comunque la parola di un parlamentare della Repubblica.

GMB

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