iCub, presentato a Sassari il nuovo robot dalle sembianze di un bambino

Si chiama iCub, ha il cervello fatto di silicio, muove le mani, gli occhi e parla. È un robot, anzi è un mini robot che ha le sembianze di un bambino di circa tre anni. E impara a riconoscere nuove parole come farebbe un bimbo di quell’età. Come? Tutto grazie ad un software, attraverso il quale riesce ad ascoltare suoni e a vedere gli oggetti che deve identificare. Se qualcuno però sta pensando che siamo ad un passo per arrivare all’universo di Westworld descritto da Michael Crichton o alla fantascienza distopica di Isaac Asimov, con le sue famosissime leggi sulla robotica, è totalmente fuori strada. Eppure i campi di applicazione aprono scenari inesplorati soprattutto per quanto riguarda l’apprendimento del linguaggio da parte dell’uomo e di come possa, sin dai primissimi anni di vita riuscire a crearsi un vocabolario e una grammatica complessa.

A farci strada in un argomento così intrigante è Angelo Cangelosi, professore di Artificial intelligence and cognition e direttore del Centro for robotics and neutral systems dell’Università di Plymouth in Gran Bretagna. Il docente si trova, infatti, a Sassari in occasione di un ciclo di lezioni come visiting professor per il corso di laurea in Scienze e tecniche psicologiche dei processi cognitivi dell’Università di Sassari, coordinato da Baingio Pinna. Insieme ad un team di scienziati di altre università inglesi come Katie Twomey, Jessica Horst e Anthony Morse, ha programmato un androide per cercare di capire in che modo i bambini imparassero nuove parole per la prima volta. “Abbiamo fatto esperimenti paralleli sia con il robot che, vorrei precisare, ha un papà sardo perché è stato progettato da Giorgio Metta dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, sia con i bimbi mostrando loro degli oggetti per poterli identificare e ci si è resi conto che iCub e i piccoli riuscivano ad impararli allo stesso modo”; ha rimarcato Cangelosi.

I bambini già a due anni possono imparare il significato di una parola sconosciuta, sulla base di quelle che già hanno memorizzato, attraverso un processo di associazione. Ad esempio imparano che un oggetto si chiama “macchina”, quando gli viene presentato insieme ad altri due che già conoscono come “palla” e “orsetto”. Pertanto se sanno che un giocattolo è “palla” e l’altro “orsetto”, il nuovo che gli viene presentato deve essere per forza di cose “macchina”. Si tratta per gli studiosi di una strategia nota come ‘esclusività reciproca’ che suggerisce come l’apprendimento precoce non sia basato su un pensiero cosciente ma su una capacità automatica di associare gli oggetti.

Le prove fatta con iCub hanno permesso di appurare che anche il robot si comportava alla stessa maniera quando gli venivano mostrati degli oggetti familiari insieme ad altri totalmente nuovi, tanto che, attualmente si è riusciti a fargli riconoscere una ventina di termini e a fargli articolare frasi di circa quattro parole. “Può sembrarvi poco – spiega Cangelosi – in realtà è tantissimo. iCub non è Siri. L’app dell’Iphone ha un bagaglio notevole di parole perché gli è stato inserito un dizionario ma non le comprende, diversamente dal nostro robot che invece riesce a identificarle grazie al contesto”. La strada verso il futuro è riuscire ad avere un androide che possa avere lo stesso bagaglio di vocaboli di Siri, tutti però identificati. Una sorta di iCub adulto, con la possibilità di poter essere utilizzato in vari settori: dalla tecnologia alla medicina, sino alla vita di tutti i giorni. Un aiuto per rendere la nostra esistenza più agevole. Un domani, insomma, che non si dimentica di mettere al centro l’uomo e le sue peculiarità.

Francesco Bellu

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