La vertenza Sider Alloys “non è chiusa” e i metalmeccanici, che oggi hanno tenuto un’assemblea ai cancelli di Portovesme, sono pronti a riprendere la mobilitazione. Una prima azione di lotta potrebbe essere messa in atto già il 10 ottobre, giorno in cui si terrà il nuovo confronto alle 12 al Mimit a Roma. Lo stabilimento del Sulcis ha iniziato a sfornare placche in alluminio e tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 dovrebbe produrre l’alluminio liquido dalle 328 celle elettrolitiche dello smelter. Ma le segreterie territoriali di Fiom, Fsm, Uilm e Cub ritengono che l’attesa “sia finita”.
“Troppi anni sono trascorsi inutilmente e hanno indebolito inesorabilmente il tessuto sociale territoriale, ma in particolare i tanti lavoratori che ancora credono e attendono lo sviluppo del rilancio. dall’acquisizione dello stabilimento di alluminio primario da parte della Sider Alloys sino ad oggi, impongono la ripresa della mobilitazione – osservano i sindacati in una nota congiunta -. La multinazionale svizzera ha acquisito lo stabilimento nel febbraio 2018, in conseguenza di un accordo di programma firmato dall’allora ministro Calenda, la Regione e la Sider Alloys. Da allora prima la pandemia, poi la richiesta di valutazione di impatto ambientale, quindi la rincorsa ad ottenere un costo calmierato dell’energia, hanno di fatto giustificato i ritardi nell’attuazione del revamping e fatto scomparire la vertenza dai tavoli di crisi del Mimit – spiegano le sigle – Ci sono volute quattro richieste di incontro avanzate dai sindacati nazionali, per ottenere una convocazione che permettesse di fare il punto sulla situazione e discutere della ripartenza dello smelter e la ricollocazione dei tanti lavoratori attualmente in mobilità”.
“Fondamentali anche le risposte che si riceveranno per coloro che si trovano in regime di ammortizzatori sociali, scavalcati nelle ultime assunzioni da ‘illustri sconosciuti’ nel mondo industriale, che impongono una riflessione ed una rivisitazione degli accordi sottoscritti – concludono -. Oltre 300 lavoratori, in attesa di rioccupazione, costretti a vivere con meno di 500 euro al mese”.
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