Export vini in Emirati, Norvegia, Sud America. Assoenologi ed esperti: “Puntare su vitigni autoctoni e promozione”

di Ilenia Mura

Andrea Pala – enologo

Per conquistare nuovi mercati esteri? L’enologo gallurese Andrea Pala (fra i più ricercati dalle aziende vitivinicole della Penisola, padre del miglior vermentino d’Italia a Vinitaly per la Cantina Campianatu di Arzachena) è convinto sia “fondamentale differenziarci dall’Italia e il resto del mondo, perché la Sardegna – conferma – produce circa l’1 per cento del vino italiano, dunque – quando ci affacciamo nei mercati esteri – sostiene Pala – siamo una goccia che si fa comunque sentire grazie ai premi e posizionamenti importanti di questi ultimi anni”.

Stesso punto fermo, per il presidente Assoenologi Sardegna, Mariano Murru, direttore tecnico della cantina Argiolas di Serdiana, nel Sud Sardegna, nonché miglior enologo 2020: anche lui suggerisce a maggior ragione di puntare sulle qualità ineguagliabili dei vini sardi e, perché no, sull’inestimabile patrimonio di vitigni minori autoctoni “per differenziarsi e conquistare così nuovi mercati”. 

Mariano Murru Presidente Assoenologi Sardegna

“Per citarne uno, lo stiamo già facendo col Nasco, ma i punti fondamentali sui cui ragionare sono tre: per cominciare bisognerebbe potenziare la promozione spingendo su un Brand Sardegna che traini il nostro settore e non solo, facendo viaggiare e dunque conoscere insieme (prodotti, ambiente, archeologia, storia e tradizioni)”. Poi, lo sguardo corre inevitabilmente sull’elegante Vermentino Doc e Docg, di Sardegna: “Siamo i maggiori produttori al mondo con oltre 4500 ettari di superficie vitata, tutte le nostre 400 aziende lo producono. Sarebbe auspicabile che si concluda poi l’iter per la creazione di un Consorzio di tutela del vermentino che unisca i produttori dell’intera Isola. Un consorzio forte e strutturato potrebbe veicolare in maniera importante la promozione del vino, della Sardegna, e a traino tutti gli altri prodotti. Questo vitigno, un vero gioiello a bacca bianca, sta riscuotendo un successo internazionale”. Infine, sfruttare l’asso nella manica: i vitigni che altri non hanno. Giusto, per Murru, puntare sulla “ricchezza in biodiversità“, elaborando quelli antichi meno conosciuti: “Un tesoro da sfruttare, ribadisce, la richiesta c’è, bisogna individuare i mercati appetibili”.  
Che ci sia bisogno di esplorare nuovi mercati non lo dicono soltanto gli ultimi dati che riguardano l’export dei vini italiani: nel 2023 il decremento registrato è del 4,4%. E dunque chi vive di vino in Sardegna sa bene che è giunto il tempo di “esplorare altri mondi” andando a conquistare fette di mercato ancora poco battute come – fanno l’esempio, enologi e produttori –  Sud Africa, Emirati Arabi, Australia, Taiwan, Norvegia.

La rotta ha da puntare altrove, perché le importazioni di vino italiano da parte dei Paesi esteri battuti da tempo sono in calo anche nei valori (7,3%), pari a 4,45 miliardi di euro. Gli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv), si riferiscono alle bottiglie importate da Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e Giappone (valgono il 56% dell’export complessivo dell’Italia). Le stime diffuse dall’Osservatorio del vino di Uiv-Vinitaly, durante Wine2Wine a Verona, lasciano poco spazio ai dubbi: “Per l’Italia, la situazione è piuttosto critica e pesante – ha spiegato il responsabile Carlo Flamini – anche all’estero il 2023 chiuderà in negativo, con una stima peggiorativa rispetto alla flessione superiore a 1% registrata a luglio scorso, soprattutto guardando all’andamento del mercato americano”: nel 2022 l’Italia aveva venduto 1,86 miliardi di euro di vini.

“Sebbene il dato sul calo-export sia un dato “drogato” dal fatto che il post pandemia ha indotto gli  importatori ad acquistare più prodotto, invogliando a svuotare le cantine – spiega Murru – è vero che per i sardi vi è la necessità di sondare nuovi orizzonti come il Sud America“. E poi? “Basta analizzare quello che è accaduto negli ultimi 20 anni per capire che non possiamo sottovalutare la richiesta del mercato”. Murru precisa: “Il vino a bacca rossa ha avuto un calo della produzione del 25% a favore dei bianchi. Non sarebbe male pensare ad un rosso del futuro un po’ meno muscoloso. Il Cannonau può avere carte importanti da giocare: oggi se ne producono di straordinaria eleganza e piacevolezza, più fruttati, freschi e gradevoli”. Murru menziona anche il rosato: “Possiamo puntare anche su questa produzione. Assieme al bianco è il segmento in crescita a livello internazionale grazie soprattutto a quello della Provenza che utilizza il nostro stesso vitigno”.

Giulia Mura – Cantina Mura-Pelau Jerzu


La riflessione è aperta. Anche se in Sardegna, piccoli e medio aziende, hanno già cominciato ad affidarsi a buyer orientati su nuovi orizzonti. Dice Giulia Mura (Cantina Mura-Pelau, Jerzu): “Credo che i mercati da tenere sotto controllo siano prima di tutto quelli dei paesi scandinavi e della Svizzera. Produco anche olio, dunque mi guardo molto intorno e non escludo di prendere in considerazione i paesi arabi: la vendita di bevande alcoliche a Dubai, negli Emirati, oltre essere tollerata, è anche ambita. L’importazione dei vini è fortemente condizionata dai dazi del valore del 50% sul prezzo finale di vendita – spiega Mura – un fattore che agevola le cantine che hanno buoni contatti nel settore della ristorazione, nel caso in cui si riesca a piazzare le proprie etichette su fasce extra lusso“. Per quanto riguarda la Norvegia: negli ultimi anni l’importazione di vino “ha registrato un incremento sensibile”.

Nina Puddu azienda agricola F.lli Puddu – Oliena

Per chi si sta affacciando sul mercato in questi ultimi anni, non è dunque giusto continuare a spingere sui primi 5 mercati che importano vino italiano.  Dai territori del Nepente, Nina Puddu, altra imprenditrice Doc dell’azienda agricola F.lli Puddu, di Oliena, (presidente Donne del vino Sardegna) rimarca la grande responsabilità che il clima ha avuto in questi ultimi anni: “Il calo delle vendite del vino rosso dipende anche da un fattore come questo, non riesci a piazzarlo”. Se poi aggiungi che le piccole realtà pagano il prezzo altissimo del caro trasporti: “La concorrenza è spietata per i piccoli produttori che non vanno oltre le 200 mila bottiglie. Non abbiamo potere, non riusciamo ad essere competitivi quanto i grandi che hanno numeri e capacità economica per affrontare i mercati importanti”. E allora, aggiunge Nina Puddu, “il Vinitaly può fare molto, considerando che alla fiera di Verona ti confronti esclusivamente con l’estero, ma serve una politica che possa venirci incontro”. Esportare significa far viaggiare le bottiglie: “Per un carico di mille euro, il 40 per cento se ne va in costi spedizione“.

Roberta Porceddu, Cantina Lilliu (Ussaramanna)


Quel che è certo, per tutti: “Il vino sardo potrebbe arrivare ovunque nel mondo, se solo il comparto vitivinicolo seguisse una linea di marketing adeguata”, sottolinea Roberta Porceddu (già presidente Movimento Turismo del Vino – Sardegna) della Cantina Lilliu di Ussaramanna (Sud Sardegna). Non solo lei, fa notare quanto la Sardegna spesso non compaia sulle mappe geografiche: “E’ una certezza che la nostra isola non sia riconosciuta a livello mondiale, non solo per le produzione vitivinicole. Il punto è che proprio non è identificata geograficamente”. Infine, chiosa Porceddu: “Mancano una serie di disciplinari atti ad identificare le zone di produzione della nostra meravigliosa isola, le famose Doc”. 

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