Musiche e tradizioni del Mediterraneo, mescolanze di culture all’Onifestival

Una serata di scambi e mescolanze quella di sabato per la prima edizione di Onifestival – Musiche, tradizioni e identità a confronto. Il leitmotiv della manifestazione, la tradizione canora, ha rotto gli indugi superando il proverbiale “isolamento” troppo spesso attribuito alla Sardegna, dimostrando uno storico scambio tra le culture del Mediterraneo, unite da un sentimento universale e ancestrale legato ai cicli della vita e la natura: nascita, amore, dolore, morte, rinascita e rinnovamento. I modelli agropastorali, l’evocazione del divino – nato come pagano e poi adattato al cristianesimo- e le preghiere rivolte ad esso, si sviluppano su una metrica e una cantilena ripetuta come rito apotropaico, adattandosi alle lingue, alle culture, ai tempi.

La serata -aperta dal Tenore San Gavino di Oniferi– introduce alcuni canti malinconici, raccontandoci storie del paese e delle persone che lo abitano, di chi è finito in prigione e da lì scrive lettere accorate, suscitando in chi ascolta empatia e compassione. Al gruppo seguono gli Elva Lutza, il duo sassarese composto da tromba (Nicola Casu) e chitarra (Gianluca Dessì), che esordiscono con un celebre brano di origine medievale della Pasqua isolana “Sette Ispadas de dolore” il lamento di Maria per la morte del figlio, in uno stile che attinge e s’ispira alla musica sarda, alle sonorità del nord-Africa e dell’Andalusia moresca con influenze provenienti dal tutto il mondo. Gli interventi canori dello stesso trombettista rileggono, in una chiave quasi festosa, la disperazione della madre, quasi a voler ricordare la necessità e l’inesorabilità della trapasso per generare la rinascita e celebrarla.

A loro si affiancano, brano dopo brano, la cantante e attrice catalana Ester Formosa e il trobador provenzale Renat Sette. Formosa narra, intonandola, la sofferenza degli ebrei sefarditi spagnoli: dell’esodo e la nostalgia della propria casa, alla ricerca di un’appartenenza e un’identità. La cantante, dal timbro leggiadro e soave, canta poi tre diverse ninne nanne -catalana, cubana e sarda- senza interrompersi mai, consolidando il trait d’union tra le tradizioni, dalle musiche ai topoi del racconto popolare. Dissacrante e irriverente Renat Sette che -arrivando da fondo sala- decostruisce la forma preghiera occitana trasformando la numerologia religiosa in una filastrocca e scioglilingua che divertono il pubblico portando il sacro nel popolare.

Sul palco anche il sassofonista Eugenio Colombo, big del jazz e maestro d’improvvisazione che delizia e stupisce il pubblico accompagnando il quartetto (Elva Lutza, Formosa e Sette) in un primo momento con il flauto traverso e poi in assoli improvvisati di sax suonati anche due alla volta. Il concerto, pensato come ciclico, chiude con i tenores in una contaminazione che al coro di mesu voche, contra e bassu unisce l’estemporaneità del sassofono di Colombo. Il festival si conclude oggi con tre concerti, la mattina al sito archeologico Sas Concas e il pomeriggio, dalle 16,00 in piazza del popolo a Oniferi: S’Alenu e Sas Boches, Cordas et Cannas e la cantante napoletana Flo.

Martina Serusi

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