Fumetti, fotografie e sculture contro ogni genocidio: la mostra al Lazzaretto

Usare Auschwitz-Birkenau come paradigma di ogni genocidio è stata l’idea scaturita nella mente dell’artista Giulio Barrocu dopo una visita nell’agosto 2014 al campo di concentramento tedesco nella Polonia occupata. L’impossibilità di restare indifferenti davanti allo spettacolo offerto da uno dei luoghi simbolo della crudeltà umana ha spinto Barrocu al luogo del massacro.

La mostra, intitolata Our Genocides, il viaggio nella memoria, è stata curata da Pamela Sau e si sviluppa lungo un percorso cronologico e fisico che va dall’ottocento ai giorni nostri in una paurosa simmetria tra le fotografie di Barrocu e le illustrazioni di famosi artisti italiani di fama internazionale, nominati dal Centro Internazionale del Fumetto di Cagliari, diretto da Bepi Vigna, uniti dal fil rouge delle sculture di Pinuccio Sciola intitolate “I semi della pace”.

Allestita nella bella cornice del Lazzaretto di Cagliari, la mostra ospita dieci installazioni in un ideale percorso storico che si conclude davanti a un “muro della Pace” formato da quattrocento ritratti fotografici, eseguiti sempre da Barrocu, di quanti hanno voluto testimoniare in prima persona il loro stato d’animo e le loro convinzioni su questo argomento. “Quest’ultimo evento nasce per sensibilizzare la popolazione nei confronti di tutti i muri eretti e che ancora si costruiscono per dividere i popoli”, ci tiene a sottolineare l’artista. Dieci installazioni per dieci disegnatori di fumetti impegnati a rappresentare altrettanti oscuri capitoli della follia umana, andando con la memoria al “prima”, in un gioco di specchi e rimandi. Souls’s Mirror è il nome che Barrocu ha voluto dare a questa visione d’insieme, a questo tentativo di mostrare la Storia con gli occhi dell’artista.

Ogni singolo pezzo dell’installazione è formato da un pilastro di legno, di quello per costruzioni edili composto da strati di legno incollati tra loro dipinto di nero, ma in modo che si intraveda la trama del legno stesso, come un sovrapporsi di anime. Questi pilastri reggono l’installazione artistica vera e propria, composta da una fotografia a colori del campo di sterminio nazista, che sono contemporaneamente un richiamo diretto ed un altro luogo, uno squarcio sui genocidi che abbiano dimenticato. Dietro questa foto si cela l’illustrazione che parla del luogo dell’altro genocidio, di com’era la vita prima dello sterminio. Tra questi due uno specchio sui cui si posano i “semi della pace” di Sciola.

Il percorso, studiato perché la distanza di qualche passo consenta di riflettere su quanto appena visto, inizia con il genocidio dei nativi di tutte le americhe grazie all’illustrazione di Niccolò Storai che mostra una scena idilliaca tra i pellerossa come contraltare alle rotaie che conducevano il “cavallo di ferro” sino alle porte dei forni. Le similitudini sono numerose, vorrei ricordare l’illustrazione opera del cagliaritano Otto Gabos intitolata “Pare che gli Azedyan se ne siano andati” che è un vero e proprio pugno nello stomaco, con il riferimento diretto al genocidio e alla dispersione delle famiglie armene durante la deportazione, ad indicare che quel massacro aveva radici ed origini ben più lontane nel tempo.

“Il progetto e la mostra, non hanno la presunzione di affrontare dal punto di vista storico le motivazioni e le ragioni legate a ogni singolo massacro, ma il confronto attraverso i differenti linguaggi dell’arte sui tragici eventi avvenuti nel corso della storia”, ci dice Pamela Sau mentre ci guida lungo un percorso che comprende il genocidio dei Nativi Americani, quello degli Armeni, l’Holodomor ucraino (con un’illustrazione in giallo e blu come la bandiera della nazione ad opera di Gabriele Peddes), i milioni di morti cambogiani (illustrato da un’altra cagliaritana, Stefania Costa), i Desaparecidos argentini rappresentati nell’illustrazione di Gino Vercelli che in cima al fino spinato ricorda a tutti il fumettista Héctor Germán Oesterheld ucciso dal regime di Videla, in un viaggio angosciante ma significativo che ci porta sino ai ricordi più recenti, il massacro operato in Libano dalle milizie cristiano-maronita a Sabra e Shatila del 1982 grazie ai disegni di Bormiz colorati da Emilio Pilliu, l’ecatombe in Ruanda con l’inquietante acquerello di Daniele Serra che ci mostra “la terra di sangue” come veniva definito il Ruanda, il massacro di Srebrenica con una toccante illustrazione di Romeo Toffanetti sino all’ancora attuale conflitto del Darfur grazie al lavoro di Federica Manfredi che si allontana dai suoi lavori per i supereroi per mostrarci le violenze della guerra sui bambini sino all’oggi, la costante tragedia dei migranti del Mediterraneo grazie alla bella illustrazione dell’olbiese Giovannella Monaco, in arte Giomo.

Una mostra ricca di spunti, quindi, che ha visto una numerosa affluenza di pubblico, con un buon numero di scolaresche venute anche dal nuorese e che ha avuto oltre duecento finanziatori, cittadini comuni e artisti che hanno creduto nel progetto e ne hanno voluto la realizzazione. L’immediato futuro vedrà questa installazione spostarsi lungo un percorso museale all’interno della città sino, probabilmente, a varcare il Tirreno e approdare in altri contesti espositivi. La mostra chiuderà i battenti domenica 14 febbraio alle 20, con una visita guidata a sorpresa e alle 18 un concerto acustico dei Frog Pipes, combat folk band composta da Luigi Ciaffaglione (voce, chitarra elettrica e tromba), Federico Angius (voce, armonica, flauti), Cristian Urru (chitarra acustica ed elettrica), Claudia Sanna (voce e basso), Daniele Tolu (batteria).

Christian M. Scalas

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