I vini sardi bio e ‘naturali’ alla “Slow wine fair” di Bologna: aperte le selezioni per 18 aziende

Tre giorni dedicati al vino “buono, pulito e giusto”. Slow wine fair è la manifestazione internazionale, organizzata da Slow Food a Bologna, dedicata alle produzioni vitivinicole “naturali” e biologiche, che significa bottiglie nate – in primis – da una agricoltura sostenibile nella quale “non vengono usati concimi, diserbanti e antibotritici provenienti dalla chimica di sintesi” (come si legge in uno dei punti del manifesto). L’appuntamento è dal 25 al 27 febbraio e anche la Sardegna avrà un suo stand, con l’assessorato all’Agricoltura, attraverso l’agenzia Laore. Le selezioni sono ufficialmente aperte: potranno partecipare 18 aziende vinicole dell’Isola che dovranno sottoscrivere il manifesto Slow Food per il vino “buono, pulito e giusto” ed entrare a far parte della “Slow Wine coalition“, una rete di produttori, professionisti e consumatori che condividono la stessa idea di vino.

Alla manifestazione parteciperanno oltre mille cantine italiane e internazionali e sono previste conferenze, masterclass e degustazioni, oltre all’assegnazione dei premi Carta vini terroir e Spirito Slow. Le domande devono essere presentate entro le 12 del 27 gennaio. Alle diciotto aziende selezionate viene attribuito uno spazio espositivonell’area collettiva allestita dalla Regione. Sono a carico di Laore l’acquisizione dell’area espositiva, l’allestimento, la quota di iscrizione e i relativi servizi connessi; sono a carico delle aziende le spese per i trasferimenti, vitto, alloggio e le spese di invio e ritiro dei prodotti, oltre alla cura nel proprio spazio della promozione, disposizione ed esposizione dei prodotti.

Il manifesto di Slow Food racconta un’idea di vino legata a sostenibilità ambientale e difesa del territorio, in linea con il pensiero dell’organizzazione fondata da Carlo Petrini. Si legge, ad esempio che le cantine devono coltivare direttamente almeno il 70 per cento delle uve utilizzare per la produzione, il ricorso ai sistemi di irrigazione deve essere limitato il più possibile e gli edifici aziendali devono rispettare il paesaggio. Ancora: la quantità di solforosa non deve superare i limiti indicati nella certificazione bio dell’Unione Europea e i vini devono essere frutto del territorio di provenienza, ad esempio con l’utilizzo di lieviti indigeni. E poi un legame economico – e in ultima analisi politico – con la comunità di riferimento. Per esempio collaborando con gli agricoltori della zona. E il vignaiolo “incoraggia la biodiversità – conclude il manifesto – attraverso pratiche quali: l’alternanza del vigneto con siepi e aree boscate; una gestione del suolo che preveda inerbimenti e sovesci e che escluda, in ogni caso, il suolo nudo, se non per brevi periodi stagionali; la tutela degli insetti pronubi e della fauna utile utilizzando di preferenza insetticidi ammessi in agricoltura biologica qualora tali interventi si rendano necessari, e comunque evitando di utilizzarli durante la fioritura della vite e di altre specie erbacee presenti nel vigneto; l’allevamento di animali nel rispetto del loro benessere e la produzione in azienda di letame; la produzione aziendale di compost da residui di potatura e altri materiali organici”.

A.T.

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