Violenza sulle donne, parla Silvana Maniscalco: “Nessuna è al sicuro”

Oltre settecento interventi di assistenza a donne vittime di violenza nel 2014, il doppio per il 2015: i numeri che arrivano dal centro Donna Ceteris, attivo  nel Cagliaritano da vent’anni, sono spaventosi. Più dei numeri però fa paura sapere che nessuna è al sicuro: giovanissime o adulte, colte o poco istruite, lavoratrici e casalinghe: “Il motivo è semplice: alla base di una violenza c’è sempre una relazione d’amore, e l’amore coinvolge tutte, a prescindere da età o titolo di studio”. A lanciare l’allarme è Silvana Maniscalco, presidente di Donna Ceteris: con l’associazione assiste ogni giorno tantissime donne e ragazze che denunciano violenze fisiche e psicologiche. Un percorso che parte da una telefonata, prosegue con l’aiuto di psicologhe, avvocati, assistenti sociali e dovrebbe chiudersi con una parola che si chiama dignità: quella che l’assistita cerca di ritrovare dopo un periodo di sofferenza, privazione, rinuncia, ricatti quando non di botte e lividi. “Purtroppo però non tutte ce la fanno: è dura ammetterlo, ma moltissime alla fine tornano a casa. Per vari motivi: problemi economici, la presenza dei figli, la paura degli assistenti sociali. E poi lo sforzo emotivo che serve per cambiare la propria vita fa paura”.

I dati di Donna Ceteris saranno presentati a Quartu in occasione dell’incontro “Una questione di genere”, tavola rotonda in programma oggi alle 18 nell’aula consiliare di via Eligio Porcu organizzata nell’ambito della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne: un momento di riflessione per capire cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare. Rispetto al passato, la Sardegna può contare su una solida rete regionale a cui lavorano insieme centri antiviolenza, Asl, forze dell’ordine, amministrazioni locali. Secondo la Maniscalco però non basta: “Non esiste la soluzione al problema purtroppo, ma possiamo fare qualcosa in più. Bisogna impegnarsi per una visione sistemica, dove ognuno possa avere un proprio ruolo, e soprattutto un ruolo certo, non che le istituzioni agiscano come se fossero associazioni, o viceversa. Oggi bisogna introdurre temi nuovi nell’operatività dei Centri Antiviolenza, attivando politiche di empowerment, iniziative di inclusione sociale, progetti personalizzati di reale autodeterminazione. È necessario, insomma, restituire alle donne vittime di violenza l’acquisizione di competenze e autostima, incentivi necessari per una vita autonoma. Questo significa raggiungere un livello di collaborazione alto fra i diversi membri della rete, ma significa anche migliorare il livello di comunicazione fra mondo economico e sociale; elaborare protocolli operativi di collaborazione con organismi preposti; tutelare minori e famiglie. Se non riusciremo a dare un senso a queste nuove sfide la giornata del 25 novembre resterà soltanto un vacuo momento celebrativo”.

Per gli otto centri antiviolenza presenti in tutto il territorio sardo quella del 25 novembre sarà certamente una giornata importante di riflessione ma non solo: gli operatori e le operatrici che assistono donne in difficoltà lavoreranno come ogni giorno. E le richieste di aiuto sono aumentate in maniera preoccupante: “L’anno in corso non è ancora concluso, ma abbiamo stimato circa 1500 interventi in tutta la Sardegna per il 2015 che hanno coinvolto psicologhe, avvocati, assistenti sociali e volontarie: il doppio rispetto all’anno passato. E a proposito di numeri, è emerso un dato preoccupante: tra le donne che chiedono aiuto, una su quattro ha tra i 18 e i 30 anni. Sta dunque aumentando il numero di vittime giovani e giovanissime. Questo dato contrasta evidentemente con l’immagine che di solito si ha della donna che subisce violenza, vista come una casalinga adulta. Sono tante, inoltre, quelle con un grado di istruzione alto: le donne laureate e colte non sono certo al sicuro. Un grande pericolo inoltre arriva dai nuovi strumenti di comunicazione: senza voler demonizzare i social network, spesso la solitudine, la voglia di evadere, il protagonismo suggerito da Facebook spingono le donne giovani e adulte ai contatti virtuali che spesso si trasformano in violenza reale. E le giovani, soprattutto, corrono gravi pericoli”.

Francesca Mulas

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