Uranio, anche tra i militari sardi una lunga scia di morti dimenticati dallo Stato

“Nessuna ‘inequivoca certezza’ del nesso di causalità tra l’esposizione alle polveri di uranio impoverito ed il tumore insorto nel militare, la famiglia del giovane morto venga risarcita”. Si può riassumere così la sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il ricorso del ministero presentato dalla Difesa contro la decisone di primo grado. Che l’attuale orientamento giurisprudenziale in materia di indennizzi o di risarcimenti alle famiglie dei militari morti a causa di patologie contratte nel corso di guerre guerreggiate o simulate (fa poca differenza) non arrida alla Difesa sembra essere un dato di fatto. Già i giudici del Tar Piemonte, lo scorso 24 marzo, avevano sancito “la sufficienza del nesso probabilistico statistico tra l’esposizione all’uranio impoverito e la malattia”. In quell’occasione era stato accolto il ricorso di un soldato trentaduenne affetto da una rara forma di tumore al pancreas. Ciò non toglie che la scia di militari morti, e di quelli che finora si son visti negare la causa di servizio dalla Difesa, sia davvero lunga, anche tra i sardi.

È del 13 novembre scorso il decesso di Luca Iddas, militare sardo morto per leucemia mieloide acuta al quale la Difesa aveva negato i risarcimenti. Poco prima, il 2 settembre, la scomparsa di Mario Porcu, maresciallo dell’aeronautica ammalatosi di tumore dopo aver prestato servizio nei poligoni di Quirra e Capo Frasca. Appena pochi mesi fa, dopo aver vinto un ricorso al Tar contro il Ministero della Difesa che gli negava gli indennizzi, è stato il sergente Antonio Cancedda, affetto da Morbo di Hodking, a spiegare all’Unione Sarda come lavora il personale militare all’interno dei poligoni sardi: “A mani e torso nudo sui carri guasti durante le esercitazioni nel poligono di Teulada, sempre a contatto con polveri ed elementi tossici. Senza mascherine o protezioni”.

Tra i militari sardi colpiti da patologie riconducibili all’utilizzo di armamenti arricchiti con elementi radioattivi, grande scalpore aveva destato il caso del maresciallo dei Granatieri di Sardegna Marco Diana, morto a 44 anni dopo esser stato costretto a vender casa per curarsi dal tumore contratto al rientro dalla Somalia, dove gli americani utilizzavano proiettili radioattivi.

C’è poi chi non è sardo e si ammala in Sardegna, come successo a Roberto Buonincontro, morto due anni dopo il periodo di leva trascorso al Poligono di Quirra e nove cicli di chemioterapia.Quanto alla possibilità di ammalarsi nei poligoni, è stato il Tar del Lazio nel luglio 2014 a stabilire un nesso tra patologia ed esercitazioni condotte all’interno delle basi, condannando la Difesa a risarcire un militare che aveva presentato ricorso.

Chiudono la lunga scia i casi delle famiglie dei militari morti che vengono risarcite, dopo anni di carte bollate. Ci sono infatti i familiari di Salvatore Vacca, scomparso nel 1999 a casua di una leucemia insorta al rientro dai Balcani. Lo Stato in quel caso pagò la somma di 656 mila euro. Si ha notizia anche di un altro caso di risarcimento ai familiari di un militare sardo morto per contaminazione da uranio impoverito.
In verità, si tratta di casi rari, almeno sino ad oggi. Emblematico in tale senso il caso del sassarino Fabio Porru, morto dopo aver prestato servizio in Kosovo e Serbia. In un primo momento, un giudice del tribunale civile di Cagliari aveva stabilito un collegamento causale tra la malattia e le missioni cui aveva preso parte il soldato e il riconoscimento del diritto al risarcimento per i familiari. Un altro giudice ha invece ritenuto che quella pronuncia fosse infondata. Correva l’anno 2012.

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