Farmaci, la Sardegna è la regione più “sprecona”. Fabio Lombardo: “Prescrizioni eccessive e inappropriate”

Siamo i più “spreconi” d’Italia nell’acquisto dei farmaci. Con un disavanzo di 100 milioni di euro rispetto al tetto fissato dal ministero. Perché? Ne parla Fabio Lombardo, direttore del Servizio di Farmacia del Binaghi di Cagliari

La Sardegna all’ultimo posto nella razionalizzazione della spesa farmaceutica (e dunque al primo posto nella classifica degli sprechi). Lo ha detto il Sole24Ore che ha pubblicato il rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) sul’’andamento della spesa farmaceutica del primo trimestre del 2013 nelle regioni italiane. In cima fra i virtuosi (che rispettano il tetto programmato del 14,85%), troviamo le regioni del nord con le province autonome di Trento e Bolzano, e poi le regioni Val d’Aosta, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Friuli, Liguria. E, a seguire, le regioni del centro-sud. La Sardegna è, appunto, nell’ultima posizione.

Un dato sconfortante se si pensa che fino al 2008, a seguito di un piano di rientro e di tanti sacrifici, eravamo riusciti a collocarci fra le regioni virtuose. Cosa c’è dietro questo arretramento? L’abbiamo chiesto a Fabio Lombardo, direttore del Servizio di Farmacia dell’ospedale Binaghi di Cagliari.

La spesa farmaceutica è da sempre una voce rilevante nei conti della Sanità regionale. Quali servizi comprende in termini di assistenza?

“La spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale comprende due ambiti di assistenza: quella ospedaliera, relativa a quanto viene speso dagli ospedali per i pazienti ricoverati e afferenti alle strutture oOspedaliere, e quella territoriale che è la spesa generata dai farmaci dispensati attraverso le farmacie convenzionate e per la distribuzione diretta di farmaci in fascia A, erogata attraverso le Asl.”

Quanto spende in media la Sardegna per l’assistenza farmaceutica e come ci collochiamo oggi, nello scenario nazionale?

“Relativamente al 2012, la quota del finanziamento complessivo ordinario del SSN destinata alla spesa farmaceutica, che complessivamente non doveva superare il tetto del 15,5%, era del 2,4% per l’assistenza ospedaliera e del 13.1% per quella territoriale.
In Sardegna, anche se il 2012 è risultato migliorativo rispetto al 2011 in termini di riduzione complessiva della spesa, si deve rilevare che, a fronte di una media nazionale del 16,1%, la Regione Sardegna ha impiegato il 19,2% del fondo sanitario regionale per l’acquisto di farmaci, collocandosi all’ultimo posto nelle tabelle nazionali relative all’anno 2012. Queste percentuali costituiscono un disavanzo complessivo stimato di oltre cento milioni di euro rispetto ai tetti fissati dal ministero.”

Qual è stata la spesa farmaceutica destinata all’assistenza territoriale?

“Il dato che deve far riflettere è che mentre la spesa farmaceutica territoriale nel 2012 è diminuita in tutta Italia del 10,3%, con punte anche del 17%, da noi si rileva una marginale riduzione del 4,6%, di molto inferiore alla media, tanto da essere il peggior dato nazionale. La diminuzione della spesa farmaceutica territoriale, nelle regioni virtuose in tal senso, è dovuta principalmente al taglio dei prezzi dei farmaci generato sia dalla perdita di brevetto di farmaci a elevato impatto prescrittivo, con una riduzione media del 9%, sia da provvedimenti nazionali che hanno aumentato gli sconti applicati alle farmacie e alle aziende farmaceutiche. In Sardegna, invece, lo spostamento delle prescrizioni verso medicinali della stessa categoria ma ancora coperti da brevetto, ha vanificato una parte consistente del risparmio dovuto all’esistenza dei medicinali generici.”

E per quel che riguarda invece la spesa per l’assistenza ospedaliera?

“Partendo dal dato nazionale, la spesa farmaceutica ospedaliera è quella che registra tassi di crescita preoccupanti, intorno al 10-15% all’anno. Le ragioni principali di questo aumento sono riconducibili principalmente a due fattori: il primo è quello legato alla continua introduzione di farmaci innovativi ad alto costo, specie nel campo oncologico; il secondo deriva dal fatto che negli ultimi anni molti farmaci destinati a essere utilizzati a domicilio dal paziente possono essere erogati solo dalle strutture pubbliche. Anche per quanto riguarda questa voce, la Sardegna è una delle regioni che spende di più, ben oltre la media nazionale.”

Quale il problema dunque?

“L’assistenza farmaceutica della Sardegna costa molto di più che nelle altre regioni e a fronte di una maggiore spesa non vi è una maggiore qualità, ritroviamo infatti fenomeni di iperprescrizione e inappropriatezza rilevanti su numerose categorie terapeutiche. La riduzione dei prezzi d’acquisto, derivanti soprattutto dall’ondata di scadenze brevettuali che si sta per esaurire, verrà ben presto vanificata con l’ingresso sul mercato dei nuovi farmaci se non si recupera efficienza nella qualità prescrittiva. Su questo versante le azioni sono evidentemente insufficienti. Sono mancate politiche mirate di appropriatezza da riversare nelle aziende e capaci di modificare l’atteggiamento prescrittivo della classe medica. Tutto è demandato al monocratico prontuario regionale caratterizzato da pochi e insufficienti indirizzi prescrittivi.”

Quali linee di intervento ritiene si potrebbero attuare per tenere sotto controllo la spesa farmaceutica?

“Il governo di questa componente della spesa da parte delle regioni lo si ottiene con un attento monitoraggio, con la promozione di buone pratiche, puntando anche sull’appropriatezza prescrittiva per responsabilizzare il medico sull’utilizzo del farmaco. E’ auspicabile pertanto che la nostra regione stabilisca un piano di controllo-monitoraggio degli usi dei farmaci più costosi che preveda la definizione di un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA), frutto di un percorso scientificamente valido condiviso dai clinici e con un monitoraggio dei pazienti, con l’obiettivo di garantire l’appropriatezza prescrittiva e verificarne il beneficio attribuibile. Bisogna puntare inoltre su un patto strategico tra istituzioni e mondo accademico, al fine di introdurre specifiche iniziative educazionali già a livello universitario per instillare nelle future generazioni di medici un sano approccio critico alle evidenze scientifiche, che dovrebbe guidare le loro decisioni cliniche e, in particolare, le pratiche prescrittive.”

Elisabetta Caredda

 

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