“Siamo da voi per salvarci la vita”, la protesta a Cagliari dei richiedenti asilo

Yassin viene dalla Somalia, ha trent’anni, una cicatrice gli attraversa il viso e il suo corpo è ricoperto di schegge e ferite, “regalo” di una mina antiuomo esplosa proprio vicino a lui. E’ arrivato qui in Sardegna tre mesi fa, in fuga dal suo paese sconvolto da vent’anni di guerra civile.

E’ una delle tante storie che si sentono oggi in piazza Matteotti a Cagliari: da ieri oltre cento persone di lingue e paesi diversi si sono radunate in un sit in, chiedono assistenza e soprattutto il riconoscimento dello status di rifugiati politici. In attesa che la loro posizione venga chiarita, in attesa di avere un permesso che conceda loro di spostarsi o volare verso altri paesi europei sono alloggiati nel Centro di Prima Accoglienza di Elmas.

Ma più che ospiti si sentono reclusi in una prigione: “Al centro di Elmas non c’è un medico, non possiamo far niente e viviamo in cattive condizioni” ci racconta Eman Aron, 30 anni: da sei anni ha lasciato il suo paese, l’Eritrea, non ha più notizie della sua famiglia.

Attorno a lui ci sono tanti suoi connazionali, sono approdati qui nell’isola dopo il trasferimento da Lampedusa qualche mese fa ma in realtà sono in viaggio da cinque, sei, anche otto anni. “Perché ho lasciato il mio paese? La povertà e la guerra civile, ci racconta Bashir Abdullah, 27 anni, come Yassin anche lui è fuggito dalla Somalia: “Siamo stati costretti a lasciare le nostre case e le nostre famiglie. Non mi importa dove andare, sogno un lavoro e soprattutto la libertà”. Tra i suoi compagni, tanti sono stati bloccati in Libia, passaggio obbligato verso l’Europa, imprigionati finché non sono riusciti a fuggire ed approdare su una barca con destinazione le rive opposte del Mediterraneo.

Il presidio dei migranti in piazza Matteotti è iniziato ieri, quando alcuni di loro hanno occupato la strada e bloccato il traffico, in serata poi a controllare la situazione sono arrivati polizia, carabinieri e Digos. Una manifestazione pacifica e silenziosa che è proseguita senza sosta e si sta concludendo in queste ore: stanotte hanno dormito nelle aiuole o sulle panchine, non vedono cibo da ore, hanno mangiato qualcosa solo grazie ai ragazzi del Presidio Piazzale Trento e ad altri volontari che hanno portato acqua, frutta e pane.

Alcuni parlano inglese, quasi nessuno italiano: raccontano ai giornalisti le loro storie che si somigliano un po’ tutte tra guerra, povertà, famiglie lontane, il viaggio interminabile fino a qui. Da subito corre voce che i migranti non lasceranno la piazza finché non avranno risposte: questa mattina con l’aiuto di alcune persone che vivono a Cagliari e fanno parte dell’Associazione del Corno d’Africa hanno messo per iscritto un documento che è stato presentato in Prefettura.

Oltre al dramma personale che vivono dopo aver lasciato il loro paese la priorità, secondo quanto scritto nel documento, sembra essere l’assistenza medica: “Tempo fa sono stato ferito sul fianco da un fucile e da allora sto male, avrei bisogno di un ricovero in ospedale”, afferma Tesfu Yandogo, eritreo. Dal Centro però arriva la smentita: “L’assistenza è garantita da un medico e da un infermiere per tutta la giornata e ci appoggiamo al poliambulatorio di viale Trieste”, sostiene il direttore del Cpa Francesco Lo Sardo.

Nel frattempo in piazza Matteotti prosegue il transito di centinaia di persone tra la stazione degli autobus e quella dei treni: in pochi sanno perché i migranti sono qui. Idee confuse per i tanti studenti che aspettano l’autobus: “Non so perché protestano, secondo me dovrebbero comunque tornare a casa loro”, “Avevamo l’esame a scuola, non ci siamo informati”, “Li ho visti anche ieri, non saprei…” Un autista del CTM ammette di non conoscere bene la situazione, ma sostiene che “Se stanno manifestando, probabilmente significa che non stanno bene”. “Ho sentito dire che sono qui perché vogliono soldi” dice un signore che poco lontano porta a spasso un cane. “Ah, mi state dicendo che non è così?”

Francesca Mulas

 

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