Oristano porta d’ingresso per i cinesi irregolari nell’Isola

Maxi operazione dei carabinieri: tre persone di nazionalità cinese agli arresti domiciliari. Una quarantina di casi accertati: avrebbero favorito il loro ingresso in Italia in cambio di soldi.

Oristano porta d’ingresso dell’immigrazione clandestina cinese in Sardegna e non solo. Lo hanno scoperto i carabinieri dell’Ispettorato del lavoro e del Reparto Investigativo del Comando provinciale con un’indagine, chiamata “Dragone“, cominciata nel 2011 e conclusa in questi giorni con due persone di nazionalità cinese agli arresti domiciliari a Oristano e una terza, ora residente a Voghera, con divieto di dimora in città.

Si tratta di un uomo, Xufei Yan, 38 anni, e due donne, Dongxian Zhou, 50 anni, e la nipote di 27 anni, Ling Zhou. L’accusa è per tutti di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e alla permanenza non regolare di stranieri in Italia, reati che possono comportare condanne fino a 15 anni e anche oltre di carcere. Indagato per gli stessi reati anche un altro cinese di 26 anni, mentre altri 12 cinesi e sette italiani (sei oristanesi e uno nuorese) sono accusati di semplice concorso per aver fatto da prestanome per la costituzione di falsi rapporti di lavoro necessari a consentire l’ingresso in Italia di altri cittadini cinesi.

Una quarantina i casi accertati in tre anni di attività dell’associazione, ma secondo i Carabinieri potrebbero essere molti di più. Ogni immigrato clandestino pagava all’associazione una quota di 6 mila euro, 12 mila se si trattava di ricongiungimento familiare. Alcuni dei cittadini cinesi entrati con questo sistema sono rimasti in Sardegna e in particolare a Oristano. Qualcuno, però, è approdato anche a Prato, in Toscana. Quel che è certo è che nessuno è rimasto a fare il lavoro di badante o di addetto alle pulizie grazie al quale aveva ottenuto il permesso di ingresso in Italia anche se l’associazione pagava regolarmente i relativi contributi previdenziali.

Per quanto riguarda i prestanome, le indagini hanno permesso di accertare che avevano firmato o dato comunque il loro consenso per poche centinaia di euro, ma in qualche caso anche in cambio di una prestazione sessuale.

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