Morte sul lavoro alla Saras. Tredici indagati. Anche i fratelli Moratti

Si è chiusa con un atto d’accusa sulla sicurezza sul lavoro alla Saras di Sarroch l’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Emanuele Secci, sulla morte dell’operaio Pier Paolo Pulvirenti, 24 anni di Catania, e sulle lesioni subite da altri due operai, Gabriele Serranò, 24 anni di Augusta, e Luigi Catania, 43 anni, di Siracusa.

Tredici le persone sotto accusa, in pratica l’intera struttura della Saras, dal vertice (con i fratelli Gianmarco e Massimo Moratti) ai responsabili della Star Service, la ditta appaltatrice per la quale lavorava la vittima dell'”omicidio bianco”. Per tutti l’accusa è di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi.

La tragedia avvenne l’11 aprile del 2011 mentre era in corso la manutenzione dell’impianto “Dea3”. Secondo il consulente tecnico gli operai avviarono il lavoro nella convinzione che l’impianto fosse stato liberato dai gas tossici. Invece Pulvirenti fu subito investito dall’idrogeno solforato, perse i sensi, e cadde da un’altezza di 17 metri. Morì in ospedale poche ore dopo.Condorelli, che si trovava distante, restò gravemente intossicato e riuscì a scampare la morte. Mentre il terzo operaio, Luigi Catania, cadde da una scala durante le operazioni di soccorso.

Oltre ai fratelli Giancamarco e Massimo Moratti – nella loro qualità di presidente e amministratore delegato della Saras, rischiamo il rinvio a giudizio il direttore generale Dario Scafardi, il direttore dello stabilimento Guido Grosso, il dirigente “operations” Giulio Mureddu, il direttore dell’asset management Antioco Mario Gregu, il responsabile dell’area produzione distillazioni e desolforizzazioni Gianluca Cadeddu, il responsabile di esercizio della stessa area Massimo Basciu, il capoturno dell’impianto dove avvenne l’incidente Luciano Capasso, l’operatore dell’unità 400 del medesimo impianto Francesco Casula. Ci sono poi i responsabili della ditta appaltatrice Star service: l’amministratore unico Adriana Apollonia Zappalà, il dirigente Innocenzo Antonio Condorelli (fratello dell’operaio rimasto intossicato) e il capo cantiere Pietro Serranò.

Alla Saras, oltre che alla violazione delle norme generali a tutela della sicurezza sul lavoro, è contestato il fatto di aver adottato un modello  non idoneo a prevenire infortuni di quel genere. Anche la gestione delle situazioni di emergenza, secondo l’ipotesi dell’accusa, era inadeguata. Mancavano misure di prevenzione tali da impedire gli incidenti e c’era un’insufficiente informazione dei lavoratori rispetti a rischi ai quali potevano andare incontro.

N.B.

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